Clima: adesso la fine del mondo ha una data precisa

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Clima: adesso la fine del mondo ha una data precisa

foresteNasaGli esperti del clima delle Nazioni Unite hanno fissato la data per la fine del mondo. Ma l’uomo ha una via d’uscita, sempre che decida di percorrerla.
Gli scienziati non sanno più come dirlo, come farsi ascoltare. Per controllare il cambiamento climatico e mantenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi centrigradi (°C) bisogna ridurre le emissioni di CO2 che l’umanità emette in atmosfera. Bisogna iniziare adesso, subito. Perché più tempo aspettiamo, più la riduzione delle emissioni dovrà essere drastica, consistente e costosa, quindi difficile da realizzare. Sempre che chi può agire, voglia farlo davvero.
Domenica 13 aprile è stato pubblicato il rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite sulla mitigazione, il terzo dopo quello che ha stabilito le basi scientifiche del riscaldamento globale e quello che ne ha evidenziato gli effetti sul clima. Il testo è frutto di sei anni di lavoro e della proiezione di 1.200 scenari possibili. È stato scritto grazie al contributo di 1.250 esperti ed è stato approvato da 194 governi. Al suo interno sono evidenziati modi e tempi che stati e istituzioni dovrebbero seguire per ridurre fin da subito le emissioni di CO2 ed evitare così una catastrofe climatica irreversibile.
Cresciamo troppo, in tutti i sensi
Crescita economica e aumento della popolazione mondiale sono le due cause principali dell’aumento delle emissioni. Tra il 1970 e il 2010 l’uso sfrenato di combustibili fossili come petrolio e carbone ha contribuito all’incremento della CO2 per il 78 per cento del totale. Dal 1750 a oggi, quasi metà della CO2 prodotta dall’uomo è stata emessa in 23 degli ultimi 40 anni.
Se non si agisce adesso per invertire questa tendenza, le previsioni dell’Ipcc sconfessano ogni promessa di mantenere l’aumento della temperatura entro i 2°C fatta dalla comunità internazionale nel 2009 alla conferenza sul clima di Copenaghen. Entro il 2100 l’aumento sarebbe compreso tra 3,7 e 4,8°C rispetto alla media del periodo preindustriale. Per mantenere la promessa, i governi devono riuscire a stabilizzare la concentrazione di CO2 in atmosfera entro le 450 parti per milione (ppm).
Oggi siamo già a quota 400 ppm. Questo significa che entro il 2050 la riduzione delle emissioni di CO2 emesse ogni anno deve calare tra il 40 e il 70 per cento. E per riuscire in questa impresa si deve agire entro i prossimi 16 anni, entro il 2030 visto che ci vuole del tempo per ottenere un calo della concentrazione di CO2 in atmosfera.
Cosa bisogna fare per salvarci
Le soluzioni proposte sono sempre le stesse, basta metterle in pratica seriamente: smettere di finanziare fonti energetiche basate sui combustibili fossili e cominciare a investire massicciamente sulle energie pulite, come le rinnovabili. Aumentare l’efficienza energetica e ridurre gli sprechi. Evitare lo spreco dei materiali e aumentarne il riciclo. E magari riuscire a trovare un accordo sul trattato internazionale che dovrebbe essere sottoposto alle firme durante la conferenza sul clima di Parigi del 2015 (Cop 21). Secondo il rapporto questa transizione costerebbe all’economia globale solo lo 0,06 per cento su un tasso di crescita previsto tra l’1,6 e il 3 per cento all’anno. Ad esempio, se la previsione di crescita del pil mondiale dovesse essere del 2 per cento all’anno, questo verrebbe rivisto all’1,94 per cento.

Non agire o agire tardi, al contrario, significherebbe aumentare il costo per l’economia in modo esponenziale, ma soprattutto significa dover fare i conti con qualcosa di molto più grave: l’imprevedibilità della natura e la sua reazione (anche violenta) nel momento in cui si dovesse vedere costretta a reagire perché minacciata.
di Tommaso Perrone