Nestlè e la vergognosa storia dell'acqua Vera S.Rosalia

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Nestlè e la vergognosa storia dell'acqua Vera S.Rosalia

Era l’estate del 2007, quando la multinazionale svizzera Nestlè otteneva la concessione dalla regione Sicilia di prelevare per la prima volta dalle sorgenti di Santo Stefano Quisquina, dalla fonte Margimuto, in provincia di Agrigento, acqua oligominerale (scoperta almeno 10 anni prima dalla Montedison) con caratteristiche pressoché perfette: l’acqua “Vera Santa Rosalia”. Per la precisione, il permesso consisteva nel permettere alla Nestlè di raggiungere, nell’arco di un quinquennio, la produzione di 250 milioni di litri.
In principio, alla popolazione locale sembrò una buona notizia che in una terra arida come la loro si fosse scoperto che dalle sue viscere potesse scorrere un’acqua gustosa, dissetante, gradevole e con un equilibrato contenuto di sali minerali. Perché finalmente, in tutta l’isola, i cittadini avrebbero potuto aprire i rubinetti anche per qualche ora ogni due giorni, a fronte di ciò che capitava in passato, quando quattro ore di acqua in diciotto giorni era il massimo consentito. E poi, non sarebbe stato più necessario bollirla per i consumi domestici e soprattutto sarebbe stata potabile.
La scelta di affidare la fornitura alla Nestlè, invece che agli enti pubblici, non è stata mai messa in discussione. L’unico timore delle istituzioni locali consisteva nella grande profondità degli scavi che le macchine della multinazionale avrebbero potuto effettuare, con il rischio di prosciugare troppo le vene sorgive. Una preoccupazione sollevata anche dall’allora deputato di Sinistra Democratica, Angelo Lomaglio, il quale denunciò al ministro dell’Ambiente la pericolosità dei prelevamenti acquiferi e le conseguenze che un’ulteriore diminuzione della riserva potesse portare alla popolazione locale, non più in grado di approvvigionarsi e quindi costretta ad acquistare l’acqua.
In sostanza: ad Agrigento l’acqua non c’era, ma a pochi chilometri di distanza sì, e chi la voleva doveva pagarla (33 centesimi a bottiglia) alla Nestlè, perché l’unica, al contrario degli enti pubblici, ad aver approfondito (e investito) i rilievi fatti dalla Montedison almeno dieci anni prima, che sostenevano la presenza dell’acqua. E tra gli investimenti che hanno reso possibile questa operazione c’è il rilevamento dello stabilimento della “Platani Rossino srl”, fondamentale per la distribuzione del prodotto, dal quale partirebbero i tir diretti in tutte le zone dell’isola e del continente.
E infatti, nel frattempo, il margine di profitto aumenta, e nel 2009 la Nestlè avanza la richiesta alla Regione Sicilia di ottenere un’altra concessione per prelevare dalle stesse sorgenti altri 10 litri di acqua al secondo, in aggiunta ai 10 litri già acquisiti al momento della prima concessione nel 2007. Una richiesta che consentirebbe alla multinazionale di allargare la vendita su scala nazionale (e non solo nel meridione), ma che il Presidente della Regione Raffaele Lombardo decide di bloccare.
Immediatamente però, la Nestlè impugna la delibera regionale e nel 2011 il Tribunale Superiore delle Acque di Roma ne accoglie il ricorso, concedendo alla società di riaprire i termini della sua istanza presso l’Ente Minerario di Caltanissetta, da cui adesso si aspetta un parere definitivo sulla concessione dell’acqua. Un giudizio che il Sindaco di Santo Stefano Quisquina, Stefano Leto Barone, “teme positivo”, nonostante i numerosi studi geologici (che però risalgono ancora agli anni 80) sulla possibile incidenza che il costante prelievo d’acqua possa avere sugli equilibri idrogeologici del bacino, di per sé precari in un territorio fra i più assetati della Sicilia e dell’Italia.
Oltre al pericolo della diminuzione della riserva – che per logica dovrebbe essere gestita da un ente pubblico e non da un soggetto privato – a incombere sulla cittadinanza agrigentina c’è il problema che in una buona parte delle case della provincia non sgorga quell’acqua purissima – che gli abitanti avrebbero tutto il diritto di usare – ma acqua imbevibile e inquinata che il gestore del servizio idrico della provincia di Agrigento (Girgenti Acque) spedisce nei rubinetti. Si tratterebbe – secondo l’agrigentino Salvatore Petrotto dal suo portale LinkSicilia – “di acqua dissalata da un’azienda che fa capo allo stesso amministratore delegato della Girgenti, Marco Campione, il quale utilizzando i suoi personali impianti di dissalazione di Porto Empedocle, la vende ad un prezzo tre volte superiore rispetto a quanto costerebbe la pregiata acqua purissima delle sorgenti di Santo Stefano di Quisquina cedute alla Nestlè”. Un giro d’affari stellare che costringe i cittadini a usare l’acqua imbottigliata persino per cucinare. Spendendo, ovviamente, tre volte tanto. Quindi, oltre al danno anche la beffa.
Un’ingiustizia che ha fatto nascere un comitato di cittadini di Santo Stefano di Quisquina, il quale è fortemente intenzionato a difendere le sorgenti dall’ulteriore aggressione della multinazionale svizzera e dalla miopia dei governanti siciliani che l’hanno addirittura svenduta, accordando una concessione annua di alcune migliaia euro.
Se si pensa che la Nestlè vende 380 milioni di bottiglie d’acqua Vera per un giro d’affari di svariate decine di milioni di euro, l’ingiustizia diventa automaticamente vergognosa.
Intanto la Procura della Repubblica sta completando le indagini sugli affari poco chiari della Girgenti Acque, ma nonostante questo, la privatizzazione selvaggia dell’acqua continua senza ostacoli, come conferma l’intesa tra Ato idrico di Agrigento e Girgenti Acque firmata qualche settimana fa dal presidente della Provincia regionale di Agrigento, Eugenio D’Orsi. Un accordo che garantirebbe centinaia di milioni di euro dei finanziamenti europei alla solita Girgenti.
I referendum abrogativi dello scorso giugno hanno palesato quale sia l’opinione dei cittadini italiani sulla questione dell’acqua e sulla sua gestione. Ora non resta che convincere con le buone (ma anche con le cattive) questa classe politica che l’acqua è un patrimonio di tutti e non un affare per pochi!