COP 25: la catastrofe climatica è sempre più vicina

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COP 25: la catastrofe climatica è sempre più vicina

Nessun accordo sulle riduzione di emissioni di CO2 dalla Conferenza ONU sul Clima di Madrid. Per i paesi più vulnerabili il rischio di una catastrofe climatica è sempre più vicino.

Doveva essere la conferenza del cambiamento, è diventata la conferenza del fallimento. Cala nella maniera peggiore possibile il sipario sulla Conferenza sul clima più divisiva di sempre, quella COP 25 che invece si era preannunciata a Madrid come la più ambiziosa di sempre. Una conferenza preceduta da mesi di trattative, durata ben oltre il previsto (avrebbe dovuto chiudersi venerdì 13 invece è finita domenica 15 dicembre) e conclusasi con un nulla di fatto che rimanda alla COP 26 di Glasgow nel 2020 la discussione su temi come la gestione delle emissioni di CO2 e il conseguente mantenimento al disotto del limite di1,5 gradi della temperatura nei prossimi anni.

Nulla di fatto alla Conferernza mondiale ONU sul clima (foto OSCAR DEL POZO / AFP)

Un nulla di fatto che ha messo in evidenza gli interessi dei Paesi più potenti a scapito di quelli che stanno subendo in maniera quasi irreversibile gli effetti del cambiamento climatico.
COP 25: i Paesi che hanno dettato l’agenda

Quello delle emissioni di CO2 è infatti il nodo cruciale che può trovare un avvio di soluzione con una oculata gestione del patrimonio forestale mondiale, di quei polmoni verdi che invece vengono considerati proprietà privata, come hanno fatto chiaramente intendere la presa di posizione del Brasile di Bolsonaro e dell’Australia, che si sono messe di traverso sull’approvazione dell’Articolo 6 degli Accordi di Parigi, forti anche dell’analoga posizione di Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Giappone, Brasile, Arabia Saudita. Paesi che, sono parole del WWF, “si sono sottratti alla loro responsabilità di ridurre le emissioni di gas serra, bloccando progressi significativi a Madrid”. Particolarmente indicativo il ruolo degli USA, che benchè in fase di uscita dagli accordi di Parigi, hanno boicottato la le decisioni di COP 25 proprio sull’articolo 6.

A COP 25 lo scontro sull’Articolo 6
Per intenderci l’Articolo 6 prevede una serie di misure economiche (che vanno sotto il nome di “mercato del carbonio”) per aiutare e incoraggiare paesi e aziende a limitare le emissioni di anidride carbonica. Vanno in questa direzione la graduale eliminazione delle centrali elettriche a carbone, l’aumento della produzione di energia rinnovabile, l’incremento di veicoli elettrici.

Certo la discussione sull’articolo 6 è stata rinviata all’anno prossimo e questo è stato presentato come un piccolo segnale positivo che lascia uno spiraglio alla “conversione” dei paesi del niet che magari potrebbero rivedere le loro posizioni, anche di fronte all’annunciata “alleanza” tra UE e i paesi più poveri e perciostesso più danneggiati dal riscaldamento globale. Ma è troppo poco e probabilmente non basteranno la PreCOP a Bonn né gli eventi previsti in Italia tra cui la COP dei giovani, a smuovere le acque in maniera decisiva e a rendere operativi gli Accordi di Parigi (il 2020 è l’ultimo anno utile per farlo) che vincolano i Paesi che hanno sottoscritto l’accordi a limitare le emissioni di gas serra.
Una politica egoista

COP 25 ha deluso tutti, non si è riuscito a trovare un accordo. Tutto rimandato al 2020 comn la prossima congferenza sul clima a Glasgow
A Madrid, sottolinea Greenpeace, complice anche “l’irresponsabile debolezza” della presidente della conferenza, la cilena Cristina Schmidt, “i leader politici non hanno mostrato alcun impegno a ridurre le emissioni, chiaramente non comprendendo la minaccia esistenziale della crisi climatica”. E hanno deluso le aspettative dei giovani – non solo quelli di Fridays For Future -che proprio quest’anno hanno voluto fare sentire la loro voce e le loro aspettative. Non si è pensato ai Paesi più vulnerabili come quelli africani, non si è ragionato sugli aiuti per le perdite e i danni subiti da questi. Non si è voluto mettere in atto un programma di “finanza climatica”.
Dissenso generale

Non c’è una voce che abbia trovato qualcosa di positivo nella COP21 madrilena. Già durante le concitate fasi della conferenza, per Kioto club, comunque fosse finita la conferenza sarebbe stata un fallimento. E di fallimento, anzi di «un’occasione persa» ha parlato immediatamente a fine lavori il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. «La COOP 25 ha messo in luce il ruolo che gli inquinatori rivestono nelle scelte politiche e la profonda sfiducia dei giovani nei confronti dei governi. l’esito di questa COP è totalmente inaccettabile», ha dichiarato Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International. «La scienza è stata ignorata», è stato il commento dell’attivista svedese Greta Thunberg; di «totale scollamento tra le richieste degli scienziati e delle persone di tutto il mondo e quello che i negoziatori stanno cercando di ottenere» ha parlato Alden Meyer, attivista della Union of Concerned Scientists. «Una manciata di Paesi rumorosi ha dirottato il processo prendendo in ostaggio il resto del pianeta” è stato il commento di . Jamie Henn, della ong 350.org. Manuel Pulgar-Vidal, leader globale del WWF su clima ed energia, ha detto: “La mancanza di impegno per accelerare e incrementare l’azione climatica da parte dei grandi paesi produttori di emissioni era troppo forte. La loro posizione è in netto contrasto con la scienza, con le crescenti richieste provenienti dalle piazze e i duri impatti già avvertiti in tutto il mondo, in particolare nei paesi vulnerabili».

L’ambientalismo italiano: “Nessuna risposta concreta”
Anche gli esponenti dell’ambientalismo italiano hanno alzato la voce contro il nulla di fatto della Conferenza sul clima. Di «ipocrisia» e «fallimento senza precedenti» parla Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi. Gli fa eco Edoardo Zanchini vicepresidente di Legambiente: «A Madrid non c’è stata alcuna risposta concreta dei governi alla grande mobilitazione dei cittadini per fronteggiare l’emergenza climatica. I prossimi anni saranno cruciali. L’Europa può e deve ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030». «I governi torneranno a casa e dovranno affrontare le crescenti frustrazioni dei movimenti giovanili, dei cittadini e delle comunità vulnerabili che soffrono a causa della crisi climatica, e dare loro una risposta», è stato il commento di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia.
Non c’è più tempo?

Un anno può essere un periodo di tempo sufficientemente ragionevole per lavorare ad un accordo che parli il linguaggio della giustizia climatica e imponga di evitare gli effetti irreversibili sul clima del pianeta che gli scienziati pongono nel 2030, cioè tra 10 anni. Non si tratta di essere catastrofisti, ma forse è vero, non c’è più tempo. E forse proprio perché non c’è più tempo vale la pena di fare nostre le parole dell’”odiosamata” Greta Thunberg: «Qualunque cosa accada non ci arrenderemo mai, abbiamo appena iniziato».