Appello di Legambiente, Greenpeace e WWF su clima e conferenza di Copenhagen

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Chiediamo al nostro governo di portare avanti le richieste fatte da Legambiente, Greenpeace e WWF per migliorare la salute del pianeta. STOP THE FEVER!!!
Un accordo globale sul clima alla Conferenza delle Nazioni Unite di Copenhagen, le richieste di Greenpeace, Legambiente e WWF Italia
Il fenomeno dei cambiamenti climatici è in rapida accelerazione e le ultime evidenze scientifiche mostrano
che la minaccia di impatti irreversibili è molto più imminente di quello che immaginavamo appena due anni
fa. Il tempo utile per evitare impatti catastrofici sta dunque velocemente svanendo.
Occorre agire subito per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra nel minor tempo possibile.
Sappiamo, infatti, che un aumento medio della temperatura globale di 2° centigradi rischia di far evolvere l’equilibrio climatico del Pianeta verso scenari irreversibili. Anche un aumento di +1.5° C non permetterà di eliminare alcuni dei peggiori impatti, come la scomparsa di interi arcipelaghi nell’Oceano Pacifico. Ad oggi l’aumento registrato è già di +0.8° C.
Per evitare effetti irreversibili è necessaria l’adozione di un nuovo accordo globale sul clima nella conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite che si svolgerà a Copenhagen, nel prossimo dicembre 2009.
I Governi devono lavorare assieme per raggiungere un accordo per la protezione del Pianeta e
assicurare che le emissioni globali di gas serra vengano stabilizzate entro il 2015 per poi essere portate il più vicino possibile allo ZERO entro la metà del secolo.
Nello specifico Greenpeace, Legambiente e WWF Italia chiedono ai Governi riuniti a Copenhagen di assumersi la massima responsabilità per trovare un accordo sui seguenti punti:
1) I Paesi industrializzati, come gruppo, devono impegnarsi a ridurre le proprie emissioni di almeno il 40% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Tale riduzione deve avvenire a livello domestico, limitando al massimo la possibilità di un ricorso ai meccanismi flessibili. I Paesi industrializzati si impegnano, inoltre, a perseguire ulteriori riduzioni direttamente nei Paesi in via di sviluppo.
Agli occhi della comunità internazionale è ben chiaro che nessun accordo ambizioso sarà raggiunto a Copenhagen se i Paesi industrializzati, che hanno la responsabilità storica di aver causato il problema dei cambiamenti climatici, non assumeranno la leadership e la determinazione di mostrare ai Paesi in via di sviluppo (PVS) di essere pronti a fare il primo passo. Questo è l’unico modo per creare la fiducia necessaria tra le parti e giungere ad un accordo per salvare il Pianeta.
2) Nello spirito di un progressivo rafforzamento e ampliamento degli impegni internazionali, i Paesi in via di sviluppo devono impegnarsi a ridurre la crescita delle proprie emissioni del 15-30% al 2020 rispetto a uno scenario “business-as-usual”. I Paesi in Via di Sviluppo (PVS) metteranno in pratica prioritariamente le misure di mitigazione che possono essere introdotte senza bisogno di aiuti economici dal’estero. I Paesi industrializzati si impegnano a fornire gli aiuti per le misure rimanenti.
All’interno dei PVS, le economie di recente industrializzazione e i Paesi più poveri non possono essere trattati allo stesso modo. Criteri di giustizia ed equità impongono che il livello di ambizione nella riduzione delle emissioni sia diversificato in base alla responsabilità storica e alla capacità di riduzione di ogni Paese. Alcune economie di recente industrializzazione, ossia quei Paesi che hanno già raggiunto emissioni pro-
capite pari o superiori a quelle dei Paesi industrializzati, dovranno adottare impegni vincolanti di riduzione a livello nazionale già dal periodo 2013-2017.
3) I Paesi industrializzati si impegnano a dirottare adeguate risorse economiche ai PVS per
supportare il passaggio ad un sistema energetico pulito, per fermare la distruzione delle foreste tropicali, e per misure di adattamento agli impatti climatici inevitabili. L’ammontare dei fondi pubblici necessari è pari ad almeno 110 miliardi di euro all’anno fino al 2020.
Una tale somma non sarà mai messa a disposizione dagli attuali budget finanziari dei singoli Paesi e occorre quindi un nuovo meccanismo vincolante in grado di generare risorse finanziarie automaticamente.
In particolare, i Paesi industrializzati devono impegnarsi a pagare parte dei propri “permessi di emissione”. Le risorse così generate saranno riunite in un fondo apposito con lo scopo di:
• finanziare progetti e politiche per l’avvio di una rivoluzione energetica pulita a partire da fonti rinnovabili
e misure di efficienza energetica nel PVS (40 miliardi di euro all’anno);
• fermare la deforestazione e le emissioni associate in tutti i PVS entro il 2020, con l’obiettivo di fermare il fenomeno già al 2015 in alcune aree chiave come l’Amazzonia, il bacino del Congo e la foresta del Paradiso in Indonesia (30 miliardi di euro all’anno);
• supportare urgenti misure di adattamento nelle aree a maggiore rischio di impatti climatici (40 miliardi di euro all’anno).
I fondi così generati dovrebbero essere gestiti all’interno di organismi multilaterali sotto l’egida delle Nazioni Unite. La gestione dei fondi deve essere democratica, inclusiva, misurabile e trasparente. Il meccanismo deve prevedere regole rigide e sanzioni. La società civile dovrà essere coinvolta nella pianificazione e nel monitoraggio di come saranno ripartite e spese le risorse economiche, a garanzia della trasparenza del processo.
4) I “meccanismi di sviluppo pulito” (CDM) devono essere riformati alla luce delle più evidenti lacune registrate negli ultimi anni. La loro riforma dovrà dare piene e più forti garanzie circa il rispetto dei principi di sostenibilità e di addizionalità, assicurando l’equa distribuzione delle risorse a livello geografico e garantendo che una cospicua parte delle risorse vada anche nei PVS più poveri e con più limitate capacità di riduzione delle emissioni, per favorire lo sviluppo sostenibile.
I CDM sono stati in grado di indirizzare risorse economiche verso i PVS più di ogni altro fondo dell’UNFCCC. Il denaro è tuttavia stato allocato solo in pochi Paesi e ha contribuito in minima parte a promuovere lo sviluppo sostenibile, permettendo un aumento netto delle emissioni.
5) L’energia nucleare e altre tecnologie pericolose e incapaci di contribuire allo sforzo di ridurre i gas serra in tempi utili, non devono far parte delle misure a disposizione dei Paesi industrializzati per ottenere crediti di carbonio. La massima priorità deve essere data alle fonti rinnovabili e a misure per l’efficienza energetica.
I PVS hanno deciso di introdurre azioni “misurabili, conteggiabili e verificabili” per ridurre le proprie emissioni in cambio dell’appoggio tecnologico e finanziario da parte dei Paesi industrializzati. Il nucleare non è una tecnologia pulita, implica notevoli rischi economici oltre che ambientali e sociali, e non è in grado di rispondere all’urgenza di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nella misura e nei tempi necessari.
6) Tecniche di “cattura e stoccaggio della CO2” devono essere escluse dalle tecnologie utilizzabili all’interno degli attuali “meccanismi di sviluppo pulito”.
7) I settori del trasporto aereo e marittimo devono anch’essi far parte dell’accordo di Copenhagen. Entrambi i settori stanno, infatti, crescendo velocemente e stanno aumentando significativamente le proprie emissioni di gas serra.
8) All’interno dell’accordo da raggiungere a Copenhagen deve rientrare anche la messa al bando a livello internazionale degli idrofluorocarburi (HFC).
Nella prossima decade avverrà la progressiva messa al bando degli idroclorofluorocarburi (HCFC) all’interno del Protocollo di Montreal. Questi gas saranno sostituiti con gli HFC, che tuttavia sono potenti gas a effetto serra. L’accordo di Copenhagen dovrebbe dunque prevederne la messa al bando.