Mani Tese: scarsa attenzione sull’agricoltura a Copenhagen .

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Mani Tese denuncia la scarsa attenzione che il vertice di Copenhagen sul clima sta riservando all’agricoltura.
L’agricoltura incide, direttamente e indirettamente, per il 44% delle emissioni totali di gas serra. Cambiare modello di produzione agricola, come chiedono da tempo movimenti rurali e contadini in tutto il mondo, è una delle azioni prioritarie per fermare il riscaldamento globale.
“Secondo le proiezioni della Fao –spiega il responsabile campagne di Mani Tese Giulio Sensi- nel 2050 ci saranno 9,1 miliardi di persone (2,3 in più) in più da nutrire e sarà necessario un incremento del 70% della produzione di cibo. Si calcola che il 70% della popolazione vivrà in aree urbane il 21% in più rispetto ad oggi. Il 14% delle emissioni totali di gas serra del pianeta arriva dall’agricoltura, ma si stima che un altro 30% sia correlato alle attività agricole tramite la conversione delle foreste in terre coltivabili, la produzione e diffusione di fertilizzanti e il trasporto e la trasformazione degli alimenti”.
L’agricoltura “industrializzata” e orientata alla monocultura e all’esportazione, oltre a sottrarre terre e risorse naturali alle popolazioni locali, è quella che maggiormente contribuisce al cambiamento climatico. Le colture destinate alla produzione di agro-combustibili (etanolo e biodiesel) mettono ulteriormente in pericolo la sicurezza alimentare, tanto più che 1,6 miliardi di persone nel Pianeta non hanno ancora accesso a nessuna forma di energia.
“Per questo temiamo -prosegue Sensi- che affidare fondi e risorse per “fermare” il riscaldamento climatico a istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale, che hanno promosso e finanziano questo modello insostenibile, sia l’ennesima riprova della scarsa volontà politica di cambiare le situazione, facendo solo annunci spot senza cambiare i meccanismi che hanno portato il Pianeta in questo stato”.
L’agricoltura rimasta ai margini del negoziato
Un documento della FAO preparato per l’imminente Vertice di Copenaghen ha lanciato l’allarme su come il settore agricolo sia ancora rimasto escluso dai principali meccanismi di finanziamento per il cambio climatico che sono in discussione a Copenaghen.
Secondo la Fao, l’agricoltura da una parte è vittima del cambiamento climatico, ma dall’altra ne è anche responsabile, contribuendo sostanzialmente al totale delle emissioni di gas serra. L’agricoltura tuttavia, sostiene la Fao, può anche essere una parte importante della soluzione, mediante la mitigazione, la riduzione e/o l’eliminazione, di un ammontare significativo delle emissioni globali.  E circa il 70% di queste strategie, secondo il documento FAO, potrebbero essere attuate nei paesi in via di sviluppo.
Diffidare dalle soluzioni fasulle
Nei giorni scorsi è stato pubblicato da Econexus (www.econexus.info) un rapporto che fa luce sulle proposte attuali relative al commercio di crediti di carbonio per l’agricoltura. Il rapporto analizza alcune delle soluzioni fasulle proposte per mitigare e adattare i cambiamenti climatici all’agricoltura, compreso cosa si cela dietro questi ultimi e chi li sta promuovendo. Un capitolo sull’agricoltura che non prevede la lavorazione dei terreni (“no-till agricolture”), con un focus specifico sull’Argentina, getta dei dubbi sulle richieste fatte per il “sequestro dell’anidride carbonica” nei milioni di ettari di prodotto chimico, sistemi che hanno già ottenuto una fortuna e profitti inaspettati dalle sementi geneticamente modificate e tolleranti agli erbicidi.
Nuove colture, alberi e microrganismi geneticamente modificati sono stati individuati come la risposta alle problematiche ambientali che nascono dai cambiamenti climatici e dalla trasformazione della cellulosa in energia. Comunque, ci si chiede nel rapporto, anche se questi sistemi potessero essere sviluppati, quali sarebbero le conseguenze per la biodiversità, gli ecosistemi, le foreste e le comunità locali?
Dal rapporto emerge anche come le sementi e la conoscenza dei piccoli agricoltori si vadano perdendo man mano che si accelera il ritmo in nome della “modernizzazione” agricola o dell’”aumento dei raccolti”, anche se i piccoli agricoltori, la maggior parte dei quali sono donne, dovrebbero essere al centro della ricerca in modo che l’agricoltura possa giocare un ruolo maggiore nell’adattamento e nella mitigazione.
Il rapporto conclude che l’agricoltura, in modo particolare gli appezzamenti di terra, non deve essere venduta sul mercato di carbonio, ma dovrebbe essere posta più attenzione su come con essa fronteggiare i cambiamenti climatici.
La carne che mette il Pianeta in padella
Più della metà dei cereali prodotti in tutto il mondo (1226 su 2232 milioni di tonnellate) finisce per sfamare animali o produrre agro-carburanti. 756 milioni di tonnellate di cereali finiscono per essere trasformati in mangimi animali, per sostenere un modello di consumo di carne insostenibile e pericoloso (anche per la salute umana). Il settore zootecnico è in piena espansione nonostante  sia dimostrato che é responsabile del 18% delle emissioni di gas serra e libera nell’aria il 37% del metano e il 65% dell’ossido di azoto.
Anche la Fao  ha pubblicato nel 2006 il rapporto “The livestock’s long shadow”, da cui emerge come tale settore rappresenti il 40% del Pil agricolo mondiale. L’allevamento del bestiame sfrutta anche il 33% della terra coltivabile mondiale, che arriva al 70% dei suoli ad uso agricolo se si considerano anche i pascoli.
Sostenere la piccola agricoltura anche come consumatori
Secondo Mani Tese, sostenere la piccola agricoltura agro-ecologica, come consumatori e come istituzioni, è la via maestra per garantire la sovranità alimentare e contribuire a fermare il cambio climatico.
Piccola agricoltura che, peraltro, sfama già il mondo, nutrendo il 70% della popolazione del Pianeta.
Per questo i cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare passano dalle nostre tavole: la dieta occidentale, energivora e divoratrice di risorse, è insostenibile. Negli Stati Uniti, ad esempio, sono necessario 7,3 calorie per produrne una alimentare: 1,6 necessarie per l’agricoltura vera e propria, 1 per i trasporti, 1,2 per la lavorazione, 0,5 per l’imballaggio e altrettante per il servizio commerciale, 0,3 per la rivendita la dettaglio e 2,3 per la preparazione e conservazione presso il consumatore.
La dichiarazione finale del vertice Fao di Roma di metà novembre lo ha riconosciuto, affermando che “le soluzioni per far fronte alle sfide del cambiamento climatico devono comprendere azioni di mitigazione e un forte impegno per l’adattamento dell’agricoltura, incluso tramite la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura”. Una dichiarazione di principi che rischia non solo di non avere azioni concrete a sostegno, ma di non essere nemmeno presa in considerazione al vertice di Copenhagen.