Su "Liberazione" il Corteo per l'Acqua pubblica con gli amministratori, anche di Capannori

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Dai comitati per i referendum ai comuni virtuosi. Perché la sete non è un businnes
«Vogliamo l’acqua e il Sole. Non chiediamo mica la Luna» 
 
foto2stendardoSono arrivati in 300mila da tutta Italia con circa duecento pullman per ribadire «due si per l’acqua bene comune». Come “quello dei 150mila” del 20 marzo di un anno fa, anche quello di ieri è stato un corteo allegro, pieno di coreografie a sottolineare come quella per l’acqua pubblica «oggi è una lotta, ma alla chiusura delle urne del referendum sarà una festa» ci spiega Alessio Ciacci, assessore all’Ecologia di Capannori (Lucca) mentre tiene alto il gonfalone del suo comune, uno dei “Comuni virtuosi”. Intanto a Capannori l’acqua come bene comune non è stata solo votata in consiglio comunale, ma si è fatta “pratica”. «Abbiamo ristrutturato quindici fonti sorgive, riconsegnandole così alla comunità, mentre nelle sedi pubbliche, dagli uffici alle scuole, è ormai letteralmente bandita l’acqua in bottiglia di plastica». In testa al corteo tantissime istituzioni locali con i loro gonfaloni e decine di amministratori con indosso la fascia tricolore: c’è Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (Milano), altro “comune virtuoso” che nella Lombardia delle privatizzazioni, dove si vorrebbero abolire le Ato e far confluire tutta la gestione dell’acqua nelle mani delle società private, sta dando luogo a importanti investimenti nelle infrastrutture che consentano una migliore gestione dell’acqua. C’è, solo per citare alcune istituzioni, il gonfalone della Regione Marche, c’è il comune di Corchiano (Viterbo), quello di Giulianova (Teramo), Palma Campana (Napoli), Ostuni (Brindisi). Perfino la Provincia di Cagliari. Anche molti amministratori hanno sul viso il disegno di una goccia d’acqua blu, simbolo di tutti i comitati cittadini impegnati nel referendum. Cittadini ma anche lavoratori del settore come il caso di Antonio, portavoce del movimento per la ripubblicizzazione nato all’interno della società Acquedotto Pugliese (Aqp) Spa. «Chiediamo che Aqp torni pubblica perché laddove c’è un azionista privato a gestire quello che deve essere un bene comune, non potrà mai esser fatto l’interesse pubblico». Non è facile per un lavoratore di una società che gestisce un acquedotto essere in prima linea nella battaglia per l’acqua pubblica: «fare campagna per il referendum ci sta esponendo agli occhi dei nostri datori di lavoro ma non possiamo fare altrimenti. Prima che lavoratori, siamo cittadini». Imponente lo spezzone del movimento per l’acqua bene comune toscano.
Da Viareggio a Lucca, da Prato all’aretino, un enorme telo blu tenuto in mano da decine di attivisti fa da scenografia a una lotta che, come nel caso di Arezzo dove si è raggiunto il record percentuale di firme per numero di abitanti, ben 22mila, il 9% della popolazione, «va avanti da dieci anni, da quando la gestione della nostra acqua è stata affidata ai privati col solo voto contrario di Rifondazione Comunista» ci spiega Lucio. «Oggi la società di gestione è controllata al 43% da Suez, Acea e Montepaschi Siena e la situazione è diventata insostenibile: tariffe altissime, anche il 400% in più rispetto a dieci anni fa, a fronte di investimento zero». C’è tanto Lazio e tanta Umbria, regioni accomunate «dal mostro Acea» commenta Piero da Foligno «che sta cercando di impossessarsi della gestione idrica da Roma fino Perugia». Il basso Lazio è invece in piazza «per denunciare la gestione di Acqualatina» ci spiega Roberto da Aprilia «che, da poche ore, potrà far sgorgare dai nostri rubinetti acqua con quantità di arsenico fino a 20microgrammi per litro».
Merito dell’ultima deroga, arrivata venerdì, concessa alla regione Lazio dalla Commissione Europea. Quindi, la Campania. Sono decine i comitati per il referendum. Comitati che, spesso, sono gli stessi che si battono contro l’attuale gestione del sistema rifiuti e che sono pronti a tornare in piazza per opporsi a chi, come il governatore Caldoro, si è detto pronto a riaprire la centrale nucleare di Sessa Aurunca. «Siamo il prototipo della regione disastro» ci spiega Antonio Musella di Commons – rete dei comitati per i beni comuni di Napoli e provincia. Sono loro, come posizione nel corteo, a segnare l’unione della “pratiche” di mobilitazione per i tre si ai tre quesiti referendari su acqua e nucleare. «In fondo» commenta laconicamente «non poteva che essere anche stavolta la Campania la regione simbolo della speculazione”: dalla privatizzazione dell’Ato 3, società di gestione del sistema idrico a nord di Salerno, alla gestione del sistema rifiuti incentrata unicamente sul sistema discarica-inceneritori fino ad arrivare all’apertura verso il nucleare in quel di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta».
Daniele Nalbone
Da Liberazione 27/03/2011