Una direttiva europea chiede che entro il 2020 venga recuperato il 70% dei rifiuti edili. In Italia al momento recuperiamo solo il 10%, soprattutto a causa di norme poco chiare e interessi stratificati. Ma ci sono anche esempi positivi
Ogni anno vengono prodotti in Italia quasi 45 milioni di rifiuti inerti. Calcinacci, mattoni, pezzi di vetro e sabbia, residui di cantieri edili e demolizioni. Se il 70% di questi materiali venisse riciclato, anziché finire in discarica, si potrebbero chiudere per un anno almeno 100 delle 2.500 cave esistenti in Italia, dicono da Legambiente, che il 4 novembre ha presentato il primo rapporto dell’Osservatorio Recycle sul riciclo dei materiali edili. Oggi il 62,5% di quanto viene cavato in Italia è composto da inerti. E lungo tutta la penisola esistono almeno 15mila cave usate e abbandonate, di cui oltre la metà sono ex cave di sabbia e ghiaia. Una situazione destinata a ripetersi, con forti ripercussioni su paesaggi e territori, visto che il recupero dei rifiuti inerti nel nostro Paese sfiora a mala pena il 10%, con differenze enormi da regione a regione.
«Cambiare questa situazione, aprendo un filone di green economy che produce ricerca, innovazione e posti di lavoro», si legge nel rapporto, «è nell’interesse del sistema delle imprese e dell’ambiente». Diversi Paesi europei hanno già intrapreso questa strada: in Olanda si recupera il 90% dei rifiuti inerti, in Belgio l’87%, in Germania l’86,3 per cento. E una direttiva del 1998 prevede che entro 2020 si raggiunga un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione.
In Italia, recepita la direttiva, in teoria non esiste alcun impedimento tecnico o normativo che impedisca l’uso dei materiali riciclati. Ma nella pratica si tratta di una corsa a ostacoli, tra norme poco chiare e interessi stratificati nel tempo intorno alla gestione dei materiali da cava. Il primo ostacolo sono proprio i capitolati dei cantieri dei lavori, pubblici e privati, dove è previsto spesso l’uso di alcuni materiali che di fatto impedisce l’applicazione per quelli provenienti dal riciclo. Da Anas alle concessionarie autostradali fino alle reti ferroviarie, esistono vere e proprie barriere per l’utilizzo dei materiali riciclati.
A questo si aggiunge una scarsa chiarezza nelle norme per l’utilizzo. Il decreto legislativo che ha recepito la direttiva europea sul riciclo degli inerti prevede la definizione dei criteri di riuso tramite decreti dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. I decreti, però, non si sono ancora visti. E spesso i materiali riciclati non vengono utilizzati per mancanza di informazioni certe e per la paura, da parte dei direttori dei lavori, di incorrere in responsabilità penali o amministrative derivanti per un uso improprio dei materiali.
Ma anche in Italia abbiamo esempi positivi. La provincia di Trento, ad esempio, ha pubblicato un capitolato tecnico per l’uso dei riciclati nei lavori di manutenzione pubblica, con tanto di schede di prodotto e l’elenco dei prezzi. Basterebbe quindi che le stazioni appaltanti, pubbliche e private, cambiassero i capitolati inserendo anche la possibilità di materiali riciclati, propongono da Legambiente. O anche che nei bandi di gara venga preferita l’offerta che propone la più alta percentuale di impiego dei materiali da riuso.
Un esempio positivo arriva anche dalla Regione Veneto, che ha previsto in una delibera tutti i possibili utilizzi dei materiali riciclati. Il risultato è che nella regione più dell’80% dei 5,5 milioni di riufiuti da costruzione e demolizione prodotti viene recuperato e utilizzato per la manutenzione delle infrastrutture stradali.
La Regione Toscana già nel 1998 aveva previsto l’obbligo di utilizzo di almeno il 15% di materiali riciclati nei lavori pubblici. La provincia di Lecce ha stabilito che bisogna recuperare almeno il 70% dei materiali delle strutture stradali. E a Roma il comune nel 2014 ha stabilito che le famose buche delle strade venissero riempite con materiale riciclato, con un risparmio economico del 20 per cento.
Una delle infrastrutture più importanti realizzate dal recupero di rifiuti edili è il passante di Mestre, dove si è potuto risparmiare oltre il 70% del materiale, pari a 32mila metri cubi di materiale da cava. Senza dimenticare che in questo modo si sono risparmiati circa 40mila viaggi di camion per il trasporto del materiale, con una riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Anche per la variante di Canali, in provincia di Reggio Emilia, sono state usate solo 5mila tonnellate di materiale vergine. Il resto, tutto riciclato. A Merano, in provincia di Bolzano, la pavimentazione stradale è stata rifatta con materiale di recupero, in grado per giunta di attutire i rumori evitando l’installazione di ulteriori barriere, con un risparmio di 125mila euro l’anno.
Per costruire i capannoni e le aree di sosta dell’interoporto di Fiumicino, sono stati usati 50mila metri cubi di materiali riciclati. Nelle vie di rullaggio e nei piazzali di sosta dell’aeroporto di Malpensa, ne sono stati impiegati addirittura 120mila metri cubi. Anche per la costruzione del nuovo molto del porto di La Spezia e per il palaghiaccio di Torino sono stati impiegati materiali riutilizzati.
Senza dimenticare che in 27 province italiane ci sono già circa 250 chilometri di strade realizzate con la gomma riciclata. Gli esempi vanno dalla Val Venosta, alla provincia di Torino (sulla circonvallazione di Venria e Borgaro), fino all’autostrada del Brennero. Strade che, dicono gli esperti, hanno una vita tre volte superiore agli asfalti tradizionali, riducendo quindi i cantieri in città e i costi per la pubblica amministrazione.
di Lidia Baratta – Linkiesta
5 Ottobre 2024