Dal Blog di Eugenio Baronti. Alcune riflessioni su Università e Ricerca

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UNIVERSITA’ ALCUNE RIFLESSIONI E PROPOSTE
 
USCIRE DALLA CRISI ATTRAVERSO UN PERCORSO DEMOCRATICO E PARTECIPATO CHE SAPPIA MOBILITARE TUTTE LE ENERGIE DISPONIBILI  PER RILANCIARE E RIFORMARE  IL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA TOSCANO
 
Torna con urgenza la necessità di occuparsi della formazione, del sapere, in concreto della scuola e dell’università, e questa nuova  attenzione ed interesse nasce  grazie al  grande movimento che si è sviluppato in opposizione al tentativo di  smantellamento della scuola e dell’università pubblica in una fase di grandi trasformazioni e dentro una crisi drammatica che non è solo finanziaria ma si intreccia con una crisi economica, sociale ed ambientale senza precedenti e con una crisi di disponibilità di risorse naturali che non sono più sufficienti a mantenere  i nostri attuali livelli di consumo e stili di vita. In questo passaggio epocale  l’allargamento dei canali di accesso alla conoscenza diventa un obiettivo prioritario e strategico per chiunque creda che la moltiplicazione e la socializzazione dei saperi siano la strada attraverso cui costruire le condizioni della emancipazione sociale e della democrazia. La conoscenza  è il  fondamento  della libertà individuale, costituisce l’elemento  sostanziale della cittadinanza democratica perché non si è cittadini se non ci è dato il sapere e il discernimento, il senso critico.
 
Università: poche risorse amministrate male
 
La stragrande maggioranza delle università italiane sono in crisi,  sono da tempo  in una condizione patologica, questa crisi si sta manifestando anche in Toscana nei diversi atenei con dimensioni  disastrose e drammatiche nell’Università di Siena. Già nel 2006 tra i quattro atenei che superavano il limite del 90%  del fondo di finanziamento ordinario di spesa per il personale, due erano toscani Firenze e Pisa. Ma sarebbero già 26, compresa ovviamente anche Siena, se si tenesse conto  del personale convenzionato  con il servizio sanitario.
 
Sicuramente i fondi sono insufficienti per tutti ma non c’è dubbio, perché è del tutto evidente,  che esistono atenei più o meno virtuosi  sotto il profilo della gestione delle risorse  economiche.
Le risorse destinate dall’Italia all’istruzione  universitaria sono insufficienti, ed inferiori a quelle della media dei paesi sviluppati (0,9% del PIL, contro una  media dell’1,4% del PIL nei paesi OCSE).
Le dimensioni quantitative delle strutture universitarie e dell’offerta formativa, dopo anni di continua crescita, a seguito del decreto ministeriale 544/2007 che definisce i requisiti minimi essenziali dei corsi di studio, sono attualmente in progressiva diminuzione ma rimangono imponenti: in Toscana le tre grandi università generaliste  propongono nell’anno accademico 2008/2009 ben 508 corsi di laurea di cui 238 a Pisa, 164 a Firenze  e 106 a Siena, in 18 sedi (9 Firenze,  5 Siena e 4 Pisa).
La distribuzione del personale di ruolo non ha più la forma di una piramide con una solida base di ricercatori ed un numero progressivamente decrescente verso l’alto, ma risulta quasi equamente articolata con un numero di professori ordinari che ha registrato l’incremento più consistente  dal 1990 ad oggi con più 57%.
 
Il grave dissesto finanziario che affligge i bilanci degli atenei toscani è dovuto alla moltiplicazione dei centri di spesa: 171 dipartimenti di cui 70 dell’università di Firenze, 55 dell’Università di Pisa e 46 a Siena. L’elevato numero di sedi universitarie , l’elevata percentuale di professori ordinari di età avanzata, al massimo della progressione economica incidono pesantemente sui costi anche perché la progressione è molto più marcata in Italia rispetto ad altri paesi europei.
 
Il numero degli iscritti in Italia è inferiore  a quello degli altri paese OCSE, così come il numero dei laureati: secondo l’ISTAT  gli studenti delle scuole primarie  e secondarie  aumentano anno dopo anno mentre  calano  gli iscritti all’Università  e solo il 10,2% della popolazione possiede un titolo di studio universitario.
Nell’anno accademico 2006/2007 i giovani iscritti per la prima volta sono calati del 5% rispetto all’anno precedente confermando il calo delle immatricolazioni iniziato nel 2004/2005.
Arrivano a discutere la tesi solo il 45% degli iscritti a fronte di una media OCSE del 69% e in questa classifica impietosa l’Italia è un fanalino di coda. Sono le ragazze ad arrivare  prima alla laurea: circa 24 su 100 a venticinque anni, contro 17 ogni 1000 maschi della stessa età.
 
L’università è ingolfata da una selva di corsi di laurea, di cui molti con pochi immatricolati e pochi iscritti. Non sempre necessità formative giustificano il mantenimento di corsi con un gruppetto esiguo di frequentanti. Certo ci sono settori specialistici che vanno comunque salvati né si può ragionare solo in termini numerici, tuttavia i dati statistici del ministero sono in questo senso  allarmanti.
 
Il numero degli studenti bisognosi (la definizione del carattere di studente bisognoso è peraltro meritevole di una qualche riflessione) e meritevoli, che trovano sostegno in Toscana dall’azienda per il diritto allo studio universitario è di appena 11462 (anno accademico 2007/2008 su di una popolazione studentesca di 127.000 iscritti, solo il 9,1% gode di una borsa di studio e solo 4114 il 3,2% degli studenti godono di un alloggio messo a disposizione dell’agenzia regionale.
 
In ogni università toscana ormai il numero dei precari (ricercatori, docenti a contratto, dottorandi ecc.) superano il numero degli strutturati, sono più della metà, nella Università di Firenze addirittura sono il doppio. Oggi l’Università e gli Enti di ricerca si reggono sul lavoro sottopagato e saltuario e in alcuni casi addirittura non retribuito, di un numero enorme di precari. Non sono più rimandabili interventi volti a dare dignità e diritti al lavoro dei ricercatori precari.
 
Questa situazione di crisi complessiva è sicuramente il frutto di molti fattori tra loro connessi ma riconducibili ad un cattiva gestione e ad cattivo uso corporativo dell’autonomia universitaria che ha portato ad un massiccio aumento della spesa e ad un reclutamento che ha teso prevalentemente alla promozione e riproduzione della classe accademica esistente invece che perseguire il necessario rinnovamento. Tutto questo si è verificato non solo con i tagli dei finanziamenti ma anche grazie ad un perdurante disinteresse  della politica italiana che non ha saputo  fare una vera riforma organica a causa delle tante resistenze corporative a difesa dei diritti acquisiti dell’elite universitaria.
 
C’è bisogno di avviare una vera e propria fase costituente di riflessione e di proposta per il futuro del sistema universitario e della ricerca toscano, per elaborare strategie di cambiamento e ricercare nuovi modelli di governance adeguati a superare l’attuale crisi, capaci di svolgere al meglio le proprie funzioni sociali e segnare  una  discontinuità con metodi e pratiche passate.
 
C’è bisogno della massima trasparenza e condivisione nelle scelte, non sono accettabili decisioni prese sopra la testa dei soggetti direttamente interessati, senza un necessario coinvolgimento e confronto partecipato e democratico, perché per uscire fuori da questa situazione c’è bisogno dell’intelligenza e del contributo di tutti.
 
C’è bisogno di un progetto credibile di risanamento e di rilancio che non scarichi però i costi sui più deboli. Non sarebbe giustificabile ne accettabile  se come Regione si finisse per finanziare per vie indirette, attraverso l’acquisto di immobili o con altre soluzioni, le Università con milioni di euro, senza porre precise condizioni  e a prescindere da tutto, finendo in questo modo per non produrre nessun altro effetto che quello di ridurre una voragine di debiti colpevolmente e irresponsabilmente accumulati negli anni
 
L’università di Firenze parla di tagliare i fondi per i ricercatori che vanno all’estero (Erasmus), non applica gli aumenti degli assegni di ricerca già approvati (da poco più di 800 a circa 1000 euro mensili), e taglia le spese per la ricerca, mentre l’università di Siena prima di tutto taglia borse di dottorato e assegni di ricerca (non colloca a riposo, contrariamente a Firenze, neppure i 70enni),  mentre per esempio ad Harvard la crisi economica e finanziaria viene affrontata dal Rettore con una strategia per noi impensabile: “stiamo pensando a strategie per tagliare i costi e rivedere gli stipendi della facoltà che oggi ammontano a circa la metà del nostro budget”.
In Italia non solo non si parla di riduzione del compenso del personale docente ma neppure quello di ridurre il numero degli ordinari.
La”fabbrica” degli ordinari  non si blocca neppure in tempi di crisi, le università piuttosto che ridurre i costi di corsi di laurea omologhi offerti in concorrenza con altri atenei distanti poche decine di chilometri , pensano di tagliare il 50%  (Università di Firenze) dei fondi ai dipartimenti senza alcuna distinzione..
 
L’offerta formativa deve essere razionalizzata mediante la riduzione dei corsi di laurea, attraverso politiche regionali che evitino duplicazione di corsi, la riduzione del numero di sedi distaccate salvaguardando e valorizzando però quelle esperienze positive e virtuose. C’è bisogno di  rafforzare il diritto allo studio in modo da favorire la mobilità degli studenti e penalizzare le università di vicinato, rafforzare le strutture per la residenzialità, le borse di studio per studenti meritevoli. Il fondo finanziamento ordinario FFO deve riconoscere e premiare le esperienze virtuose da valutare attraverso parametri di qualità della didattica e della formazione degli studenti e  della produzione scientifica non solo delle strutture ma anche dei docenti e dei ricercatori.
C’è bisogno di un seria riflessione sulle politiche di reclutamento e del ritiro dal lavoro. Siamo di fronte ad un invecchiamento del personale docente e ad un ingresso ritardato da parte dei giovani che non riescono ad entrare prima del quarantesimo anno di età. E’ necessario approntare una strategia di reclutamento dei giovani mediante forme straordinarie e attraverso il pensionamento del personale con anzianità di servizio, anche attraverso l’abolizione dell’esonero che permette la permanenza in servizio anche oltre i settanta anni di età.
 
La Regione Toscana, gli Enti Locali, le fondazioni bancarie ed altri soggetti possono concorrere a salvare e rilanciare il sistema delle università della Toscana ma solo a condizione che queste, pur nel rispetto della piena autonomia didattica e di ricerca, si integrino dentro un disegno coerente e dentro una strategia  di razionalizzazione del sistema universitario in coerenza con la proposta di Legge n. 297 “ Disposizioni regionali in materia di ricerca e innovazione” che assume come presupposto sostanziale l’esistenza di un sistema universitario regionale fortemente interconnesso  sul piano dell’offerta didattica, con ampia mobilità all’interno della Regione che sappia cooperare e interagire costruendo una  relazione continua fra i dipartimenti di differenti università verso una    tendenziale formazione di centri di competenza specializzati dove si aggregano e si confrontano e si integrano competenze provenienti da tutta la Regione  destinati a soddisfare la domanda di un ambito geografico non circoscrivibile. La Conferenza della rete regionale proposta dalla nuova Legge può essere , in sede di approvazione in consiglio rivista e rimodulata alla luce di questa nuova situazione ridisegnando ruolo e funzioni e poteri trasformandola in uno  strumento del coordinamento del sistema per governare processi di razionalizzazione e di ottimizzazione dell’offerta formativa del sistema toscano secondo una visione integrata ed unitaria.
 
E’ chiaro che dobbiamo tutti impegnarci per fare la propria parte, per invertire questa drammatica crisi finanziaria degli atenei toscani  sanando non solo gli effetti ma soprattutto rimuovendone le cause di fondo che è la precondizione indispensabile per iniziare un rilancio dell’università.
 
Questo percorso deve essere partecipato e aperto al contributo dei differenti attori del mondo universitario: docenti, ricercatori, personale amministrativo e studenti, deve  sapere parlare e coinvolgere quante più energie possibili perché se  riducessimo il confronto alle sole autorità accademiche faremmo un grave torto a tutto il mondo universitario perché non possono essere i responsabili stessi di questa crisi ad indicarci  la strada giusta per uscirne fuori.
EUGENIO BARONTI
ASSESSORE ALLA RICERCA E UNIVERSITA’
 
www.eugeniobaronti.it