I bambini sono le prime vittime di inquinamento e sostanze nocive. Lo dimostra il rapporto Airtum 2008, il primo del suo genere.

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Salviamoli con un mondo pulito
di Umberto Veronesi
Agli inizi del XX secolo, i tumori erano relativamente rari: solo 3 persone su 100 morivano di cancro. Ora sono 35 su 100. È vero che essendo il tumore una malattia degenerativa esso è diventato più frequente con il prolungarsi della vita media. Ma perché si ammalano i bambini, i ragazzi? E perché i tumori in età pediatrica sono in aumento? Responsabilmente, dobbiamo chiederci se ci sono collegamenti tra la malattia e l’ambiente. Penso che nell’era del genoma dobbiamo assolutamente cercare di capire, senza angoscia e senza allarmismi, in che modo l’ambiente esterno agisce sul nostro patrimonio genetico, e quali rischi ci sono. Occorre studiare e approfondire, perché i fattori che possono essere all’origine di un tumore che colpisce un bambino sono ancora poco conosciuti, e probabilmente sono multipli. Sono sospettate delle cause genetiche o biologiche, in particolare per i tumori che sopravvengono prima dei cinque anni di età, e le cui cause risalgono spesso a un difetto di sviluppo già nello stato di embrione.
Ma i fattori ambientali sono ugualmente in causa, che si tratti di esposizione della donna incinta o del bambino stesso. L’avere ritrovato allarmanti percentuali di diossina nel latte materno non è una notizia di poco peso, e deve farci riflettere sulle implicazioni della cosiddetta catena alimentare. In quanto ai bambini, sappiamo che sono più vulnerabili degli adulti agli effetti nefasti dei fattori ambientali.. Letteralmente, essi succhiano la vita con forza. Il loro metabolismo e i loro bisogni energetici fanno sì che, proporzionalmente al loro peso, essi inalino più aria e assorbano più liquidi e più nutrimento degli adulti.
Ma c’è dell’altro. Una sostanza tossica viene assorbita diversamente dall’organismo di un bambino, così come differiscono da quelli di un adulto i meccanismi di riproduzione cellulare e di sviluppo dei tessuti, nonché quello importantissimo della riparazione del Dna, l’indispensabile reazione salvavita contro le lesioni cellulari. Probabilmente, in età infantile, tutto ciò gioca un ruolo nella suscettibilità fisiologica a certi agenti nocivi, a partire dal periodo in cui il bambino può essere danneggiato ancora in utero, per via transplacentare.
Perciò è un dovere sociale e scientifico condurre ricerche su fattori nocivi di cui sappiamo ancora troppo poco. Il rischio più studiato e che sembra ormai accertato è l’esposizione della donna incinta o del bambino alle radiazioni ionizzanti. Sono fortemente indiziati, poi, la polluzione dell’aria (il benzene, ma anche il fumo di sigarette dei genitori) e la polluzione del suolo, con insetticidi agricoli che finiscono nei foraggi degli animali da carne, e di qui nella catena alimentare. Sono rischi da accertare con rigore e onestà intellettuale, chiedendo poi alla ricerca scientifica un aiuto per un diverso modello di sviluppo.
(11 dicembre 2008)
 
Lasciate che si ammalino. Qualcuno ci guadagnerà
Il governo ha tolto la prevenzione dalla sua agenda. E le lobby trionfano
Donato Greco fino a qualche settimana fa era il direttore del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie del ministero della Salute. Sostituito dal governo (sulla sua poltrona si è seduto Fabrizio Oleari), in un’intervista a ‘Epidemiologia & Prevenzione’, che ‘L’espresso’ anticipa, spara a zero sulle nuove politiche dell’esecutivo. “Si sta delineando un cambiamento nella visione stessa della prevenzione. L’obiettivo per cui il Centro ha sempre lavorato è stata l’estensione, su tutto il territorio nazionale, di misure di prevenzione primaria. Oggi invece i rappresentanti del ministero preferiscono parlare di ‘predizione clinica’. Il che, tradotto, significa privilegiare la diagnosi precoce da attuarsi mediante ricorso a tecnologie avanzata”. In pratica, più che prevenire l’insorgenza stessa della malattia, la nuova filosofia sarebbe quella di ampliare al massimo la popolazione che ha accesso alla diagnosi precoce, per intervenire il prima possibile, ma solo quando il paziente è già malato.
La diagnosi precoce, fatta di mammografie, test clinici, colonscopie e molto altro, è un’ottima cosa e ha salvato molte vite, ma ha anche costi elevatissimi che, per come è congegnato oggi il Ssn, entrano ampiamente nelle casse dei mille laboratori privati e convenzionati che forniscono questo tipo di prestazioni.
Greco chiama in causa le lobby: “Basta vedere come sono stati organizzati i comitati consultivi del ministero: c’è una presenza determinante dei poteri forti (industrie farmaceutiche, aziende biotecnologiche, cliniche private) mentre c’è pochissimo spazio per i rappresentanti della sanità pubblica e delle Regioni. Credo che il diritto alla salute oggi sia a rischio”.
(11 dicembre 2008)
 
Quelle vite appese a un semaforo
di Caterina Serra
Viaggio dell’autrice di ‘Tilt’ nel reparto oncologico infantile del Policlinico di Modena
Alla porta tagliafuoco, color verde acceso come un avvertimento, è appeso un cartello: ‘Nel rispetto della salute dei bambini ricoverati è vietato ad amici e parenti l’accesso al reparto’. Restò lì, esitante, il tempo di vedere entrare un uomo con un ombrello e un voluminoso pacco regalo sotto il braccio, una donna e una bambina con la testa avvolta in un foulard, due ragazzini con l’aria di non avere bisogno di permessi.
Fort Knox, questo reparto dovrebbe essere blindato come Fort Knox, ma in realtà è un colabrodo, scherza il dottore mentre con piccoli gesti mi prepara un caffè tagliato con lo zucchero, come in un bar di Napoli, mi dice, con un accento emiliano – “chè la vita tiene o sole amaro”.
Il fatto è che qui tutti sanno dove si trovano, continua. Non occorrono guardiani e guardiole, la vigilanza è una questione di consapevolezza.. Sembra che non ci siano filtri, ma è una permeabilità solo apparente. Hanno tutti a cuore la stessa cosa, sanno tutti cosa fare.
Qui i bambini si fanno chiamare per nome. Li conosciamo, uno per uno. Li vede quei semafori? Ce n’è uno sulla porta di ogni stanza, cambiano colore in base alla intensità delle cure e alla fase della malattia. Il semaforo rosso significa che per entrare bisogna mettere copriscarpe, copricapo, mascherina, e camice, e bisogna lavarsi le mani, e i polsi, bene, fino ai gomiti. Col giallo bastano un camice e la mascherina, col verde si può accedere liberamente. Nessuno passerebbe col rosso. Qui è chiaro quel che dovrebbe essere chiaro dappertutto: fai attenzione, non sai cosa può succedere a chi ti sta intorno.
Questo è il settimo piano. Policlinico di Modena. Qui ci vengono i bambini malati di tumore. C’è una stanza per ogni bambino, e una poltrona-letto per ogni mamma. E qualcosa che ricorda la provvisorietà di un albergo, un frigorifero, un televisore, un computer, una fila di finestre su cui ora batte la pioggia.
Trent’anni fa non c’era niente, continua il dottore, grandi stanzoni, dieci-dodici letti, un unico bagno, allora c’era il rischio di trovare la cenere sul copriletto quando il medico passava con la sigaretta accesa. Sembra passato un secolo. Allora c’era un paravento, in un angolo accanto alla finestra. Mi ricordo di una bambina dietro quel paravento. Non c’era niente da fare, si aspettava.
Oggi in Italia si ammalano circa 1.400 bambini all’anno. E aumentano, ogni anno, è vero. Ma riusciamo a guarirne il 75 per cento, trent’anni fa solo il 20 sopravviveva. Vent’anni fa non c’era niente di tutto questo.
Cammino lungo il corridoio su cui affacciano le camere. Incollato a una porta, un grosso drago sdraiato su un fianco sbuffa un rassicurante Sto dormendo. Qui le porte sono chiuse ma raccontano tutte qualcosa di ciò che sottraggono alla vista..
Sotto i neon illividisco anch’io, mentre incontro visi stremati da ore che hanno tutte la stessa luce, sfiniti da frasi quotidiane come ‘domani facciamo questo, dopodomani quest’altro, poi vediamo’. Un esame al giorno, un continuo tentativo di rivedere l’immagine ordinata di un puzzle di cui sembra sempre mancare una tessera.
Ma sa che parlare di leucemia, era un tabù? Lo è ancora, mi dice il padre di una ragazzina che oggi ha trent’anni e vive in mezzo a un bosco. È una questione culturale, aggiunge, il cancro viene quando vuole lui, non ci si può fare niente, è una maledizione. Non la pensa così anche lei? La prima cosa che ho chiesto al medico quando siamo entrati qui dentro è stata: ‘Cosa le abbiamo fatto? Non sta bene dove viviamo?’ Si pensa subito al colpevole, si vuole trovare la causa, una causa. Tutti i genitori se lo chiedono. È perché viviamo di qua dal fiume, o di qua dal monte? C’entra quella fabbrica, quell’inceneritore, quel ripetitore che pare un fulmine caduto in mezzo ai vitigni
di Lambrusco? Anche se oggi i genitori sono cambiati. Allora dicevamo, Io, padre, insieme a lei, medico, e insieme a mia figlia, cosa possiamo fare? Ora dicono, Tu esperto devi salvare la vita al mio bambino. Delegano, si aspettano che la medicina sappia tutto della vita e della morte, sappia come funziona. Ma forse solo i bambini lo sanno. Qui i bambini restano bambini, ti salutano anche quando non riescono più a muovere un dito. Sono sicuro che conti qualcosa il fatto che siano visti per quello che sono, dei bambini, non degli organi malati.
Vive in mezzo al bosco, mia figlia, mi piace pensare che avrebbe voluto vivere così comunque, e che il mondo non la spaventi affatto.
Un bambino cammina piano davanti a me legato a una specie di albero metallico con le rotelle sotto le radici, tubicini e valvole come rami e foglie. Mi fermo a guardarlo mentre attraversa, con calcolo perfetto dello spazio, una stanza piena di giochi, piccole sedie, piccoli tavoli, scaffali di libri, disegni e computer scintillanti di storie digitali.
E nomi, nomi di bambini appesi a ogni parete.
Qui i bambini si fanno chiamare per nome, mi dice la maestra. Nessuno è solo una malattia qui, o un numerino stampato su una cartella clinica. Sono stati i genitori ad aver capito che i loro bambini vedevano la malattia come un momento della vita, come se avessero una specie di binocolo temporale puntato su un giorno fuori di qui. La mente di un bambino resta la stessa, resta viva, e sono convinta che il suo corpo viaggi insieme alla sua mente.. I bambini sanno giocare dappertutto, hanno quel genere di curiosità per la vita che un adulto si scorda di avere avuto. Sono vivi, sempre, anche qui dentro. Per questo ci sono stanze come questa, per questo facciamo i compiti, giochiamo, leggiamo, non perdiamo tempo, insomma. Che non c’è tempo da perdere, mi creda, qui dentro.
Lo sa che l’80 per cento, ma in alcuni casi anche il 100 per cento, dei farmaci che usiamo nei soggetti in età evolutiva non sono mai stati testati sui bambini? Mi dice un altro dottore, affaticato da una notte difficile. Sono giorni duri, mi confessa, troppi bambini che non hanno più tempo. L’industria farmaceutica non ha alcun interesse, continua, non c’è mercato: no market, no business. In una regione di 5 milioni di abitanti c’è un milione al massimo di soggetti in età evolutiva. I farmaci li fanno per gli altri quattro. E così dosiamo quelli per gli adulti. Persino gli sciroppi per i bambini li assaggiano gli adulti, e infatti normalmente un bambino li sputa. Un bambino non è un piccolo adulto. Sa, è un fatto di statistiche, di numeri: non sono ancora rilevanti. Anche se è innegabile, il numero di bambini che si ammala è aumentato.
A quanto pare non abbastanza. Le va di fare un giro? Le faccio vedere il reparto, almeno fino a quel vetro, lo vede? Lì ci sono due stanze a bassa carica microbica, una delle tante cose qui dentro che dobbiamo ai genitori
dei bambini. Sono vent’anni che stanno qui, si sono associati (Aseop), tengono sveglie le istituzioni, sa, in quel modo interessante in cui il privato non si sostituisce al pubblico, ma lo pungola, gli ricorda cosa deve fare, su cosa deve puntare lo sguardo: le idee sono spesso dove non ci sono i denari, ma se una cosa non c’è loro ti dicono ci sarà, non si mettono a lamentarne l’assenza.
Semaforo rosso davanti alle due porte chiuse. Le nuove generazioni avranno una vita più lunga, si affretta a rivelarmi, come a voler aprire per un momento quelle porte al futuro. Dopo quasi quarant’anni, siamo diventati più bravi, facciamo meno errori, la tecnologia, la ricerca – Dio le benedica. Riusciamo a vedere tutto di un corpo. Tranne le cause che lo ammalano, è vero. Ma curiamo e guariamo lo stesso. Possiamo studiare le alterazioni di una cellula, magari non sappiamo perché si alteri, ma vediamo tutto quello che le accade.
E curiamo, e guariamo di più, pazienza se non sappiamo perché ci ammaliamo. Con le cause ci vuole tempo, ci vuole la pazienza di mettere insieme tutti i pezzi, è così la complessità.. A volte da individuo a individuo cambia una minima cosa e cambia tutto, e tocca tenere conto della differenza, dell’originalità di ogni essere umano. Ci pensa? Un puzzle di milioni di pezzi.
La verità è che se spendiamo per conoscere le cause, non abbiamo i soldi per curare gli ammalati. La gente invece vuole stare bene, adesso, vuole essere curata, vuole vivere la sua vita, bene o male che sia. È l’ora della merenda. Un carrello fumante di bicchieri di camomilla, cioccolata, tè e biscotti, entra e esce dalle stanze spinto da una donna che sembra l’ultima delle fate. Mi passa accanto e mi pare che lasci una scia profumata di vaniglia che sa di luna park. Mi aspetto di sentire un fruscio di giostre a tutta velocità, voci di bambini eccitati, secchielli giganti di pop corn. L’odore si spande, dolciastro, sembra caramello. Non capisco da dove venga, continua a piovere e non mi sembra abbiano montato un tendone da circo in fondo al corridoio. La vede quella donna?, mi domanda una dottoressa che farà il turno di notte. Sta aspettando che sua figlia si svegli, mi dice fissandola con un sorriso che dura un nanosecondo. Le deve misurare la febbre. Se non ce l’ha, può portarsela a casa. Tutte le sere così, una specie di preghiera, si siede sul letto e la guarda dormire, immobile, ogni tanto la accarezza e le sistema il lenzuolo, infinite volte. Aspetta che le passi la febbre. C’è ancora un 25 per cento di bambini che non guariamo, e ancora non sappiamo che conseguenze abbiano le terapie sull’organismo dei guariti a distanza di tempo. Ieri sera ho firmato un’altra dimissione. Scriviamo ‘A lungo sopravviventi’. Non scriviamo ‘Guariti’. Non si sa mai.
Sembra fatalismo, ma ci siamo concentrati sull’efficacia, non sulla tossicità delle cure, non potevamo, se volevamo tenere in vita i malati. Quello che per ora riusciamo a fare è fotografare il fenomeno. Ieri parlavo con un collega epidemiologo dell’uso che si può fare del GIS, il Geographical Information System: si fa una mappa dall’alto, strade, case, ma anche linee elettriche, industrie, zone di traffico intenso, e la si sovrappone a una cartina della popolazione per vedere dove vive, se in mezzo a campi magnetici, a possibili inquinanti atmosferici, vicino a discariche, a coltivazioni e allevamenti che si ritrovano su terreni inquinati, per sapere cosa mangia, che aria respira, e se si ammala, come, quanto. Una ricerca incredibilmente complessa, insomma, una cartografia dell’ignoto: un inizio, un modo per cominciare a dare un nome alle cause. I bambini lo fanno continuamente, danno un nome a tutto. Una donna minuta esce da una stanza. Ha addosso una tuta e un paio di ciabatte con due orsi disegnati, una specie di uniforme che schiera lei e suo figlio, un pigiama bianco con due orsetti sulla tasca, contro il male. Ha uno scatolone tra le braccia. Mi invita a entrare e si mette a rigirare un bastoncino intorno alle pareti lisce di una pentola che, mi spiega, ha appena comperato. Suo figlio non mangiava da tre giorni e aveva tanta voglia di zucchero filato.
Sos bambini
di Emiliano Fittipaldi
Crescono del 2 per cento l’anno le neoplasie infantili in Italia. Con picchi spaventosi in prossimità di aree industriali o inquinate. Colpa di smog e pesticidi. E della contaminazione della catena alimentare
Nelle Marche tra il 1988 e il 1992 il Registro tumori ha segnalato 93 bambini malati. Dieci anni dopo, sono diventati 171. Un raddoppio secco. A Parma i casi sono passati da 27 a 53. A Sassari, nello stesso arco di tempo, gli under 14 ammalati di tumore sono triplicati. Il bollettino è agghiacciante, la fonte autorevole: i numeri che nessuno vorrebbe leggere li sciorina il rapporto Airtum 2008, il primo del suo genere, cofirmato dal Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie, dall’Associazione di ematologia e oncologia pediatrica e dall’Istituto superiore di sanità. Lo studio evidenzia che nel nostro Paese, tra il 1988 e il 2002, c’è stato un aumento medio dei tumori infantili del 2 per cento l’anno. I tumori sono bastardi, nessuno sa esattamente quale sia la causa. Per ogni cancro ci sono diversi fattori di rischio possibili, e tutti lavorano insieme ad avvelenare l’organismo. Così davanti al trend gli epidemiologi intervistati invitano a non trarre conclusioni affrettate, ma quasi nessuno nega che tra i maggiori sospettati ci siano l’inquinamento, i pesticidi e la contaminazione della catena alimentare. Basta pensare alla diossina che, attraverso le carni, il latte e l’acqua, arriva direttamente sulle tavole: se da giorni l’Europa dà la caccia ai maiali e bovini irlandesi avvelenati, nei mesi scorsi la sostanza cancerogena ha già compromesso interi greggi di pecore che pascolavano a ridosso dell’Ilva di Taranto e migliaia di bufale vicino Caserta.
Il dottor Gianfranco Scoppa il rapporto sui tumori infantili non l’ha letto. Ma la sua percezione sull’andamento delle malattie è addirittura peggiore dei dati pubblicati dall’Airtum. Il radioterapista, ex oncologo del Pascale, oggi dirige l’Aktis di Marano, uno dei più grandi centri di radioterapia della Campania. “Crescono sarcomi, linfomi, leucemie. Vedo entrare troppi bambini, stiamo diventando una struttura pediatrica”, spiega. A 800 chilometri di distanza, a Mantova, pochi giorni fa uno studio di una società privata ha messo in allarme la città e la vicina Cremona: nelle due province la frequenza di leucemie infantili sarebbe rispettivamente 20 e dieci volte superiore a quella registrata mediamente in Lombardia. “I numeri sono abnormi, credo abbiano confuso i singoli casi con il numero, più alto, dei ricoveri”, spiega Paolo Ricci, epidemiologo dell’Asl mantovana. “Ma in provincia un dato da approfondire c’è davvero”. A Castiglione delle Stiviere, meno di 20 mila abitanti, negli ultimi anni sono stati accertati sette casi di leucemie infantili. “Un fatto anomalo, l’incidenza è rilevante. Ricordiamoci che si tratta della zona più industrializzata della provincia, un distretto dove la mortalità rincorre quella di Brescia”. Anche a Lentini, in Sicilia, i bambini si ammalano con frequenza eccessiva: i tassi del periodo 1999-2003 del registro territoriale di patologia segnano una media dieci volte superiore rispetto a quella della provincia di Siracusa. Picchi anomali che hanno convinto la Procura ad aprire un’indagine per tentare di capirne le origini.
Di sicuro in Italia il trend è anomalo rispetto al resto dei paesi industrializzati: doppio rispetto a quello europeo, addirittura cinque volte più alto rispetto ai tassi americani. Molti si affrettano a spiegare la tendenza con la diagnosi precoce e le nuove tecniche che permettono di cercare le malattie con strumenti più raffinati rispetto al passato. Ma la risposta, per gli esperti più attenti, è insoddisfacente: equivarrebbe a sostenere che tedeschi, francesi e svizzeri (dove l’incidenza è più bassa) sarebbero meno bravi di noi a individuare il male. Non solo: l’incremento è troppo rilevante. Entrando nello specifico, se nel Vecchio Continente i linfomi infantili aumentano con una media dello 0,9 per cento annuo, in Italia la percentuale sale al 4,6 per cento. Anche le leucemie viaggiano a tasso quasi triplo, mentre i tumori del sistema nervoso centrale crescono del 2 per cento, contro la riduzione dello 0,1 registrata in Usa.
“I dati dei nostri registri trovano un utile complemento in quelli raccolti da registri ospedalieri e di mortalità”, commenta secco Corrado Magnani del Centro di prevenzione oncologica del Piemonte: “I risultati concordano con le indicazioni di tassi di incidenza relativamente elevati nel panorama internazionale e indicano un incremento statisticamente significativo dell’incidenza”.
In Italia ogni anno si ammalano circa 1..500 bambini e 800 adolescenti dai 15 ai 19 anni. Soprattutto di leucemia (un terzo del totale), linfomi, neuroblastomi, sarcomi dei tessuti molli, tumori ossei e renali. I numeri assoluti sono bassi, e fortunatamente i tassi di mortalità diminuiscono grazie all’efficacia delle cure. L’incidenza, però, sembra destinata a crescere. “Per i bambini le previsioni non sono rosee”, dice l’Airtum: “Le stime, calcolate utilizzando le informazioni raccolte nelle aree coperte dai registri e i dati di popolazione Istat, indicano che ci sarà un aumento dei casi”. Se la tendenza resterà costante, nel periodo 2011-2015 si ammalerà il 18 per cento di under 14 in più rispetto al quinquennio 2001-2005. Il fenomeno riguarda sia il Nord che il Sud. Gli epidemiologi hanno preso in considerazione solo i registri che rilevavano i tre periodi presi in esame: quello che va dal 1988 al 1992, il periodo 1993-1997 e quello 1998-2002. A Sassari i bimbi ammalati passano da 12 a 40, a Napoli da 33 a 114. A Latina si passa da 38 a 52, a Modena, Parma, Ferrara e Reggio Emilia stesso rialzo, il registro della Romagna ha raddoppiato i suoi iscritti. Identico trend per l’Alto Adige, mentre l’aumento è meno preoccupante per il Friuli. In Liguria e in Piemonte, che può vantare il registro più antico, l’incidenza è invece stabile, come a Salerno e Ragusa.
Ma cosa sta succedendo? I medici dell’ambiente dell’Isde non hanno dubbi, e considerano l’aumento delle neoplasie dei bambini un indicatore assai preoccupante. Puntano il dito sull’inquinamento selvaggio, sui danni provocati dai rifiuti tossici e dall’uso dissennato di sostanze nocive in agricoltura e nella produzione dei beni di massa. Gli epidemiologi puri – in mancanza di evidenze dimostrate da studi scientifici definitivi – sono tradizionalmente più cauti su cause e fattori di rischio. Stavolta, però, anche loro non escludono che l’inquinamento ambientale e lo stile di vita di bambini e genitori possano avere responsabilità rilevanti sul fenomeno. Benedetto Terracini è uno dei luminari dell’epidemiologia dei tumori, e da qualche settimana ha iniziato un carteggio con alcuni colleghi per cercare di dare un’interpretazione al rapporto, insieme a indicazioni operative per possibili misure di salute pubblica. “Non si può affermare con certezza che l’aumento sia dovuto all’inquinamento”, chiosa, “ma è plausibile che influiscano fattori esterni a quelli genetici: sono decenni che sappiamo che le frequenze tumorali sono correlate all’ambiente. I cinesi che emigrarono in Usa si ammalano oggi esattamente quanto e come gli americani, proprio come accade ai pugliesi a Milano e agli italiani partiti per l’Australia. Il lavoro dell’Airtum è il massimo che si può fare in termini statistici, ma ora bisogna agire”. Terracini dubita che in tempi brevi gli scienziati potranno dimostrare definitivamente il coinvolgimento di fattori legati all’inquinamento. “Ma anche se non si può dire che benzene e smog fanno venire il cancro agli under 14, si possono applicare rapidamente politiche precauzionali: non servono certo altri studi per sostenere che vivere vicino a una strada a grande traffico non fa bene alla salute. Bisogna difendere i bambini a priori, senza fare allarmismo usando un tema delicatissimo come le neoplasie infantili”.
Se i ‘ragionevoli dubbi’ sul rapporto tra inquinanti e tumori non sono ancora diventati legge scientifica, serpeggiano con sempre maggior insistenza nelle conclusioni di autorevoli ricerche internazionali. Nel 2005 un report dell’ateneo di Birmingham ha evidenziato che i piccoli che abitano nel raggio di un chilometro da uno snodo di traffico ‘importante’ hanno un rischio 12 volte più alto di ammalarsi, mentre due anni fa ricercatori delle università di Milano e Padova mostrarono un legame tra inquinamento da diossina prodotto da inceneritori per rifiuti industriali e urbani e l’insorgenza di sarcomi nella provincia di Venezia. Anche a Mantova un rapporto dell’Asl (che a breve verrà pubblicato dall’Istituto superiore di sanità) ha ufficializzato un nesso tra sarcomi dei tessuti molli e le sostanze diossino-simili osservate intorno al polo industriale di Mantova, dove insistono il petrolchimico dell’Enichem, le Cartiere Burgo, tre centrali termoelettriche, tre discariche per rifiuti tossici e un inceneritore per rifiuti industriali e sanitari. Basata sul contributo di esperti di rilievo come Pieralberto Bertazzi, Pietro Comba, Paolo Crosignani e il compianto Lorenzo Tomatis, la ricerca spiega che il rischio più alto che ha la popolazione residente vicino all’area industriale di ammalarsi (bambini compresi) è legata probabilmente non solo alla diossina e ai Pcb, ma anche ad altri inquinanti: “Sempre comunque di origine industriale”. Altre analisi hanno evidenziato i nessi tra leucemie e campi magnetici. La faccenda è molto discussa, ma a tutt’oggi, spiega Magnani, “il dato scientifico non è stato ancora confutato”.
Il dottor Gianfranco Scoppa il rapporto sui tumori infantili non l’ha letto. Ma la sua percezione sull’andamento delle malattie è addirittura peggiore dei dati pubblicati dall’Airtum. Il radioterapista, ex oncologo del Pascale, oggi dirige l’Aktis di Marano, uno dei più grandi centri di radioterapia della Campania. “Crescono sarcomi, linfomi, leucemie. Vedo entrare troppi bambini, stiamo diventando una struttura pediatrica”, spiega. A 800 chilometri di distanza, a Mantova, pochi giorni fa uno studio di una società privata ha messo in allarme la città e la vicina Cremona: nelle due province la frequenza di leucemie infantili sarebbe rispettivamente 20 e dieci volte superiore a quella registrata mediamente in Lombardia. “I numeri sono abnormi, credo abbiano confuso i singoli casi con il numero, più alto, dei ricoveri”, spiega Paolo Ricci, epidemiologo dell’Asl mantovana. “Ma in provincia un dato da approfondire c’è davvero”. A Castiglione delle Stiviere, meno di 20 mila abitanti, negli ultimi anni sono stati accertati sette casi di leucemie infantili. “Un fatto anomalo, l’incidenza è rilevante. Ricordiamoci che si tratta della zona più industrializzata della provincia, un distretto dove la mortalità rincorre quella di Brescia”. Anche a Lentini, in Sicilia, i bambini si ammalano con frequenza eccessiva: i tassi del periodo 1999-2003 del registro territoriale di patologia segnano una media dieci volte superiore rispetto a quella della provincia di Siracusa. Picchi anomali che hanno convinto la Procura ad aprire un’indagine per tentare di capirne le origini.
Di sicuro in Italia il trend è anomalo rispetto al resto dei paesi industrializzati: doppio rispetto a quello europeo, addirittura cinque volte più alto rispetto ai tassi americani. Molti si affrettano a spiegare la tendenza con la diagnosi precoce e le nuove tecniche che permettono di cercare le malattie con strumenti più raffinati rispetto al passato. Ma la risposta, per gli esperti più attenti, è insoddisfacente: equivarrebbe a sostenere che tedeschi, francesi e svizzeri (dove l’incidenza è più bassa) sarebbero meno bravi di noi a individuare il male. Non solo: l’incremento è troppo rilevante. Entrando nello specifico, se nel Vecchio Continente i linfomi infantili aumentano con una media dello 0,9 per cento annuo, in Italia la percentuale sale al 4,6 per cento. Anche le leucemie viaggiano a tasso quasi triplo, mentre i tumori del sistema nervoso centrale crescono del 2 per cento, contro la riduzione dello 0,1 registrata in Usa.. Tutti, dal decano Terracini a Franco Berrino dell’Istituto dei tumori di Milano, concordano sul fatto che occorre studiare le sostanze sospettate sia sul piano epidemiologico (ovvero andare a vedere come e quando si correlano agli aumenti di incidenza), sia su quello tossicologico e genetico, per capire in che modo possono indurre il male. All’indomani del rapporto Airtum, qualcuno si spinge anche più in là, e comincia a comporre il puzzle. Come Gemma Gatta, ricercatrice all’Istituto dei tumori di Milano: “L’aumento generale c’è di certo. E i fattori di rischio sono numerosi: radiazioni, farmaci antinfiammatori usati in passato in Europa, ormoni per l’interruzione della gravidanza. Poi, il consumo di tabacco e alcol da parte della madre in gravidanza, il traffico veicolare, le infezioni e la professione dei genitori”. In particolare, l’esperta sottolinea il rischio di chi vive parte della giornata a stretto contatto con sostanze cancerogene come benzene e pesticidi. Ma non è tutto. “Negli ultimi anni le madri allattano meno al seno, fumano di più, i giovani si alimentano peggio: bisognerebbe, anche in assenza di studi definitivi, modificare stili di vita insalubri”, chiosa la studiosa. Pure Luigia Miligi, dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica della Toscana, è cauta su cause e concause, e preferisce andare al sodo. “Ho mandato delle mail ai colleghi mettendo l’accento sulla gestione del rischio.
Ci sono cose che possono essere fatte subito, quasi a costo zero. Si potrebbe diminuire l’inquinamento indoor delle scuole evitando l’uso di detersivi con solventi aromatici, ed eliminando i materiali che rilasciano formaldeide”. Anche il controllo dei residui antiparassitari in agricoltura, dice la Miligi, dovrebbe essere sistematico: il principio di precauzione e il diritto alla salute deve essere prioritario rispetto a qualsiasi altro interesse. “Ma gli allarmi devono essere gestiti bene. Tre anni fa a Firenze ci fu un picco di leucemie in una scuola materna: le istituzioni si mossero all’unisono, in silenzio, per garantire la sicurezza dei piccoli. Analizzammo ogni rischio, misurammo persino l’eventuale presenza di radon, un gas radioattivo. Non trovammo nulla: a volte certi fenomeni sono del tutto casuali”.
(11 dicembre 2008)
 
da L’Espresso (11 dicembre 2008)