IN TOSCANA sgorga dai rubinetti l’acqua più cara d’Italia: in media ci costa 370 euro l’anno. Altrove se la cavano con 270. Non basta: le nostre dieci province svettano nella classifica delle città dove l’approvvigionamento idrico per usi domestici (bollire la pasta, lavare i panni, fare la doccia…) ha raggiunto nel 2012 l’aumento tariffario più elevato. Pensate: a livello nazionale, gli aumenti 2012 oscillano sul 6-7%, mentre Massa Carrara deve subire il 20,7% in più: Pisa il 14,2; Firenze, Pistoia e Prato l’11,4%.
La Toscana — è questa la notizia — è stata «bocciata» dal Ministero dell’ambiente che ha notificato alla Regione un decreto dove si fanno ben 15 rilievi, basati soprattutto sulla sproporzione delle tariffe rispetto al piano degli investimenti 2010-2021 del sistema idrico dell’Ato 3. Un piano approvato dai sindaci dei 50 comuni delle province di Firenze, Prato e Pistoia e gestito da Publiacqua. E anche un piano che, nella vecchia stesura, prevedeva investimenti per 267 milioni in 5 anni, ma effettivamente realizzati dal gestore solo per 173 milioni.
A rendere pubblica la notifica del ministero sono stati, ieri, Marco Carraresi, consigliere regionale dell’Udc, Piera Ballabio (capogruppo di «Libero Mugello», a Borgo San Lorenzo), Enrico Sandrini di Adiconsum. Ma già da una settimana, a Palazzo Panciatichi, giaceva un’interrogazione di Monica Sgherri, capogruppo della Federazione Sinistra e Verdi.
Del resto, la notifica è stata confermata dall’assessore all’ambiente, Anna Rita Bramerini. Che non cercherà di fermare il provvedimento ricorrendo al Tar, come paventato da Carraresi. Ma che invece ha già risposto al ministero chiedendo un incontro per chiarire non tanto il nocciolo della questione — le tariffe sporporzionate — quanto le questioni procedurali. Partendo dal fatto «che le Regioni, come dice la Corte Costituzionale, non hanno competenze per definire le tariffe».
La Bramerini aggiunge che i rilievi ministeriali si riferiscono a un procedimento del Conviri (Comitato nazionale per il controllo della risorsa idrica) che nel frattempo è stato sostituito dall’Autorità nazionale, voluta dal governo Monti, per unire energia e acqua.
Montagne russe legislative e burocratiche? In sostanza sì. Ma se si comprendono le incertezze dovute al referendum (che abolisce il 7% per la remunerazione del capitale alle società che investono nelle reti idriche) non si accetta che una situazione del genere, certificata da un ministero, resti sospesa. E pesi sulle famiglie. Carraresi, la Ballabio e Sandrini parlano di «situazione di illegittimità perché prima è stata fatta la tariffa e dopo il piano degli investimenti, mentre dev’essere il contrario».
Morale? Solita scena: loro discutono, noi paghiamo. Ma se le cose stanno come dice il ministero, e come tutti tendono a confermare, non c’è nessuno che si vergogna?
Sandro Bennucci – La Nazione
9 Novembre 2024