Il suolo è un bene comune e il suo consumo è anche una grave perdita economica e alimentare

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Il suolo è un bene comune e il suo consumo è anche una grave perdita economica e alimentare

Il suolo è un bene comune e il suo consumo è anche una grave perdita economica e alimentare
Intervista a Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano, sui gravi dati emersi da rapporto ISPRA sul consumo di suolo in Italia. Gli effetti sulla bilancia economica alimentare degli 8 mq al secondo di suolo cementificato. Gli indici di consumo e quelli di impermeabilizzazione. Le speranze riposte nel disegno di legge del ministro Catania che finalmente contiene una definizione di suolo come “bene comune”. E che il prossimo Parlamento lo approvi
Al Convegno di Roma del 5 febbraio, organizzato da ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, CRA (Consiglio Ricerca e sperimentazione Agricoltura) e Università La Sapienza (Ingegneria Civile e Ambientale), si sono discussi gli allarmanti dati del consumo di suolo italiano nel periodo 1956 – 2010, dati ottenuti con i più aggiornati sistemi di monitoraggio. 8 metri quadrati al secondo di suolo cancellato, un processo che dal 1956 non conosce battute d’arresto, con una media nazionale passata dal 2,8% del 1956 al 6,9% del 2010. Ogni anno in Italia viene cementificata o coperta una superficie pari ai comuni di Milano e Firenze messi insieme, ossia circa 260 km quadrati.
Ne abbiamo parlato con Paolo Pileri, docente di Pianificazione urbanistica e ambientale al Politecnico di Milano, presente al Convegno di Roma, da anni impegnato sul fronte del suolo e delle azioni possibili per limitarne il consumo e autore del recente “Amor Loci – Suolo, ambiente e cultura civile”, scritto insieme ad Elena Granata.
Paolo Pileri, quale commento si può fare ai dati dell’indagine ISPRA e perché l’allarmante media italiana del 6,9% di suolo cementificato è diversa da quella dei dati europei?
C’è da sempre dibattito sul metodo di calcolo del consumo di suolo che va comunque rapportato al tipo di territorio in esame. Su che superficie geografica lo calcoliamo? Se, nel caso italiano, includiamo nel numeratore anche la nostra vasta superficie montuosa, logico che la percentuale diminuisca; questa è la ragione che spiega il dato minore del calcolo europeo (quel 2,8% rispetto al nostro 6,9%). Il dato più significativo emerso dal Convegno ISPRA è comunque il calcolo del consumo di suolo nell’unità di tempo, ossia gli 8 m2 al secondo, che significano una velocità di cementificazione di circa 700.000 m2, ossia 70 ettari di suolo che se ne vanno ogni giorno in Italia. Sono circa 26.000 ettari all’anno, ossia 260 km2, cioè una superficie pari ai comuni di Milano e Firenze messi insieme, ogni anno.
Quali sono le altre chiavi di lettura dei dati presentati al Convegno ISPRA?
Come ho detto al Convegno e vado ribadendo da tempo, il consumo di suolo non è solo un dato urbanistico ma anche un dato di perdita culturale, economica ed agricola, perché il suolo è un bene comune che va difeso ed è innanzitutto un patrimonio alimentare. C’è un serio parametro FAO – INEA (Istituto nazionale di economia agraria) che calcola – sulla base di una dieta alimentare media di 2.500 kcal – come un ettaro di terreno agricolo possa fornire il nutrimento per 7 persone all’anno. Perdere 70 ettari di suolo al giorno in Italia, significa quindi anche perdere le potenziali risorse alimentari necessarie a 500 persone ogni giorno. Sono circa 180.000 persone all’anno, l’intero nutrimento di una media città italiana che va perduto. Perdiamo suolo, perdiamo produzione alimentare che dobbiamo acquistare all’estero, perché non si parla mai del consumo di suolo anche come di perdita della nostra bilancia economica alimentare?
I dati ISPRA italiani e quelli della Commissione Europea sul continente evidenziano anche la gravità dell’impermeabilizzazione del suolo consumato, che non assorbe più le piogge, modifica il ciclo idrologico e aumenta il rischio inondazioni: che differenza c’è tra suolo consumato e suolo impermeabilizzato?
Qui il discorso è più complesso perché ci sono diversi indici di calcolo della permeabilità del suolo. Se il terreno completamente naturale, come il prato, ha il massimo coefficiente di permeabilità, ad esempio 1, l’”urbanizzato rado”, ossia il territorio misto di campi agricoli e non, e di insediamenti urbani, scende allo 0,8; ma anche la superficie agricola fortemente coltivata non assorbe più l’acqua come dovrebbe e la sua permeabilità peggiora. Quando poi il suolo è perso, cementificato e come diciamo noi “sigillato”, perde totalmente la capacità di assorbimento e il coefficiente diventa 0. L’urbanizzazione in Italia ha completamente frammentato il paesaggio, spezzandone gli equilibri, le aree davvero ambientali sono polverizzate e di conseguenza non è facile calcolare l’effettiva impermeabilizzazione del territorio. Da anni vado dicendo che in Italia manca una mappa di permeabilità del suolo italiano che tenga conto di questa nostra polverizzazione del territorio.
Quali sono le speranze per un cambio di rotta ed un’effettiva politica di protezione del suolo? Quali leggi ci proteggono e cosa può arrivare dall’Unione Europea?
Purtroppo la direttiva sul suolo dell’Unione Europea ancora non c’è, anche per resistenze di paesi, spesso virtuosi come la Germania, che preferiscono mantenere le loro leggi sul consumo di suolo, più efficaci di quello che imporrebbe l’Europa. In Italia la speranza è data dall’ultimo disegno di legge del Ministro delle Politiche Agricole Mario Catania, sulla valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo, una riforma che l’Italia aspetta da tempo.
Un DDL migliorabile, ma che avrebbe già grandi punti di forza, come la norma che impone un tetto massimo alla superficie agricola ancora edificabile, la cancellazione della disposizione che permette ai Comuni di coprire le spese con gli oneri di urbanizzazione, il vincolo decennale di destinazione d’uso per i terreni agricoli che hanno ricevuto sovvenzioni comunitarie o statali.
E’ stato approvato dal Consiglio dei Ministri e ha anche superato la fase istruttoria della Conferenza Stato-Regioni, purtroppo ora finisce la legislatura e la speranza è che il prossimo Governo lo approvi. Quella legge può rappresentare il punto di svolta per l’Italia, perché contiene una nuova definizione di suolo “quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici”.
La politica italiana di questi 20 anni non ha fatto quasi nulla per fermare la minaccia del consumo del suolo e una delle cause principali su cui batto da tempo è anche la nostra tipica frammentazione amministrativa, che ha sempre lasciato isolati i Comuni, e quindi anche molto più condizionabili e vulnerabili, di fronte all’attacco delle lobby del cemento.
di Stefano D’Adda – Eco dalle Città