Dossier di Legambiente sui disastri “innaturali”

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Dossier di Legambiente sui disastri “innaturali”

Il dossier di Legambiente “Frane e alluvioni, disastri innaturali” presentato oggi da grande rilievo ai recenti disastri naturali in Toscana e nelle vicine aree della Liguria. Pubblichiamo integralmente capitoli dedicati alla Toscana.
25 ottobre 2011, Lunigiana, Val di Magra, Val di Vara e Cinque Terre
A pochi giorni dal disastro che ha sconvolto la Val di Magra, la Val di Vara e le Cinque Terre è quanto mai opportuno iniziare ad approfondire le cause di un simile evento. Le procure di Massa Carrara e di la Spezia hanno già aperto dei procedimenti per verificare cause ed eventuali responsabili dell’accaduto e in questi giorni stanno valutando tutti gli elementi. Ma in parallelo riteniamo utile valutare alcuni aspetti per poter intervenire in maniera efficace su questo e su tutti i territori a rischio del nostro Paese scongiurando quanto prima il verificarsi di nuovi episodi altrettanto gravi e tragici. Tra le cause reali di questa situazione ce ne sono fondamentalmente due, una di natura mondiale, cioè il riscaldamento globale del clima che produce effetti catastrofici a scala locale, anche alle nostre latitudini, e stravolge anche il regime pluviale, l’altra locale, cioè la decennale cementificazione del territorio dovuta a una dissennata gestione dello stesso e l’assoluta mancanza di prevenzione e governo del rischio su cui è opportuno intervenire da subito su una situazione critica quale quella descritta in seguito.
I dati del dossier Ecosistema rischio Liguria presentato da Legambiente nell’ambito della campagna Operazione Fiumi in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile nazionale danno un quadro preoccupante di quella che è la situazione dell’urbanizzazione delle aree a rischio e della scarsa attenzione che ancora oggi le Amministrazioni locali rivolgono al problema. Nell’85% dei comuni liguri in cui vi siano aree ad elevato rischio idrogeologico che hanno partecipato all’indagine sono presenti abitazioni nelle aree golenali, in prossimità di alvei e nelle zone a rischio di frane, e nel 46% dei casi sono presenti in tali zone interi quartieri. Addirittura nel 56% dei comuni intervistati sono stati edificati in zone soggette al pericolo di frane e alluvioni fabbricati industriali, nel 31% strutture sensibili e nel 39% strutture ricettive turistiche e commerciali. A fronte di questa pesante urbanizzazione delle aree ad elevato rischio idrogeologico solo il 4% delle amministrazioni ha attivato interventi di delocalizzazione di edifici o aree industriali.
Per questo di seguito riportiamo alcune proposte specifiche per i territori della provincia di La Spezia e di Massa Carrara:
Per il territorio di Aulla Legambiente chiede l’immediato stop a qualunque edificazione nuova o in corso di costruzione nell’area dichiarata a rischio idraulico; la realizzazione di un sistema di allerta ed evacuazione delle attività ed abitazioni esistenti in area dichiarata a rischio idraulico; l’immediato avvio di un tavolo per valutare e programmare la delocalizzazione in aree sicure delle attività ed abitazioni a maggior intensità di rischio, intervento prioritario per ridurre il rischio sul territorio.
Riguardo alla bassa Val di Magra, chiediamo che siano bloccate azioni di nuova Urbanizzazione, e chiediamo che mano a mano che si giunga alla revisione di Piani Urbanistici Comunali (PUC), si varino PUC a impatto edificatorio zero.
riguardo alla Val di Vara, invece, chiediamo la stessa opzione zero per i Comuni di Riccò del Golfo, Brugnato e Borghetto Vara, e chiediamo lo stop sia ai nuovi lotti della Variante Aurelia, che si configura come vera via di penetrazione edilizia.
La Nautica e l’antropizzazione nel tratto terminale del fiume Magra
Caso a parte, in questa alluvione, è quello rappresentato dallo sfondamento del ponte della Colombiera ad Ameglia, col crollo della campata centrale, probabilmente da parte del pontile di un cantiere nautico strappato dalla violenza delle acque e trascinato dalle stesse fino al ponte: già oltre vent’anni fa gli ambientalisti sostenevano, fondamentalmente per ragioni inerenti il cuneo salino, che la Linea di navigabilità, a monte della quale non dovrebbero esservi natanti da diporto, andava posizionata al ponte.  Un compromesso trovato dalla Regione nel 1989 posiziona invece la linea di navigabilità 1850 m. a monte del ponte e 3850 a monte della foce: nonostante ciò oltre al naviglio rimasto tra ponte e linea, circa ancora 400 PE (Posti Equivalenti per imbarcazione da 12 m.) di attracchi yacht sono presenti addirittura al di sopra della linea di navigabilità, senza che nessuno abbia fatto qualche azione materiale per ricollocarli altrove (Golfo Della Spezia o, in accordo con la Toscana, vicino porto di Marina di Carrara). Riteniamo urgente liberare finalmente l’area non navigabile del fiume e al tempo stesso diminuire la flotta complessiva del Magra, perché 2144 posti barca (previsti dal Piano Guida della Nautica (PGN), ma non ancora nemmeno raggiunti) oltre a creare un porticciolo in un ambiente fluviale come quello del Magra a regime torrentizio, quindi imprevedibile, inadatto e pericoloso, è sicuramente insostenibile anche da un punto di vista ecologico. Un’ultima parentesi sempre sulla nautica nel tratto terminale va aperta sui cantieri industriali: un compromesso per la salvaguardia dei posti di lavoro, avallato anche da noi nel Piano di parco del 2001, ha permesso loro di rimanere sul fiume, ma visti i danni subiti da Intermarine già l’anno scorso, e da Cantieri San Lorenzo, pur più alti sulla riva, adesso, sarebbe il caso di interessarsi per farli ricollocare nel Golfo Della Spezia.
L’urbanizzazione delle aree a rischio di Aulla
Il disastro purtroppo non era solo annunciato ma disegnato da 13 anni in rosso nelle mappe del rischio idraulico dell’Autorità di Bacino del Fiume Magra. Osservando la cartografia infatti è impressionante l’esatta sovrapposizione dell’area a ‘Rischio idraulico molto elevato’ della mappa del Piano di assetto idrogeologico dell’Autorità di Bacino con la superficie coperta dall’acqua il 25 ottobre scorso ad Aulla. L’effettiva eccezionalità dell’evento atmosferico e delle sue conseguenze sui fiumi ha sicuramente incrementato di molto la possibilità che l’evento si verificasse ma gli effetti erano ampiamente documentati e previsti da atti ufficiali del 1998 e del 2006.
Nonostante lo studio e la perimetrazione di queste zone da parte dei tecnici da 13 anni a questa parte si è continuato a costruire ed autorizzare attività commerciali, servizi pubblici ed abitazioni in un’area prima soggetta alle misure di salvaguardia e poi dichiarata a ‘Rischio idraulico molto elevato’ con Delibere dell’Autorità di Bacino e dei consigli Regionali di Toscana e Liguria. Aulla nuova è stata costruita occupando ben metà dell’alveo del Fiume Magra. Inoltre nonostante la documentata conoscenza del rischio idraulico, nessun Ente preposto ha mai realizzato dispositivi di allerta ed evacuazione adeguati, come ampiamente e tristemente confermato il 25 ottobre scorso. Emerge addirittura che il Piano comunale di Protezione Civile prevede il Centro di raccolta degli evacuati in un edificio posto in area a rischio idraulico, che infatti è stato alluvionato, insieme ad edifici strategici quali i Vigili del Fuoco e il Municipio. Legambiente prende atto positivamente delle dichiarazioni del governatore della Toscana Rossi a favore del blocco delle nuove costruzioni nelle aree a rischio ma chiede di andare oltre e realizzare adeguati sistemi di allerta/evacuazione ed un piano di delocalizzazione delle attività a maggior rischio, al posto di interventi inutili e posticci di difesa come gli argini a Sud di Aulla, e di condizionare i finanziamenti post-alluvione al preventivo blocco delle costruzioni.
7 novembre 2011, l’Isola d’Elba di nuovo sott’acqua
I nuovi estesi allagamenti all’Elba sono il frutto di una “messa in sicurezza” che in alcuni casi sembra  essere stata fatta non per allontanare e mitigare il rischio, ma per continuare a costruire dove il rischio si era già manifestato. La Piana di Marina di Campo è sott’acqua e a Procchio, dove dopo l’alluvione del 2002 venne costruito il cosiddetto “ecomostro” del quale rimane  l’osceno scheletro di cemento, tutta l’area è nuovamente esondata proprio in questi giorni.
L’alluvione provocata dal nubifragio del 2002 e i molteplici allagamenti che si sono succeduti nella Piana di Campo e un po’ in tutta l’Elba non  hanno insegnato niente, gli eventi meteorologici “straordinari” stanno diventando sempre più “ordinari” all’epoca dei cambiamenti climatici e l’Elba aspetta ancora il “Piano Strutturale Unico” promesso dall’ex assessore regionale Conti e dai sindaci elbani.
Intanto si è proceduto con l’approvazione di Piani Strutturali singoli per tutti gli 8 comuni, con varianti, variantine, “messe in sicurezza” che hanno permesso di costruire e di appesantire il territorio con nuovo cemento ed infrastrutture che cambiano la situazione ambientale, impermeabilizzano ulteriormente il territorio, generano nuovi rischi.
Si è andati avanti con l’edilizia “contrattata” e a volte “sollecitata”, con le deroghe, con i Piani di Edilizia Economica e Popolare (Peep) come quelli finiti sott’acqua a Campo nell’Elba che in gran parte sono in realtà case vacanze, costruiti in aree già esondate e dove i fossi messi  totalmente o parzialmente in sicurezza sembrano di nuovo esondati, lasciando i residenti veri di quei villaggi semideserti alle prese con una situazione di abbandono autunnale/invernale dell’area. Uno scandalo sul quale alla fine qualcuno dovrà almeno spendere una parola.
L’ininterrotta bulimia cementizia sembra non tener conto né delle mutate condizioni ambientali all’era del global warming né delle mutazioni subite da un territorio già a rischio, abbandonato a monte e saturato a valle dall’uomo, privo di vera e sistematica manutenzione, mentre si investe in opere inutili che finiscono sott’acqua… e tutto questo come se nelle fosse accaduto, nulla accadesse e nulla potesse accadere.
La Regione e la Provincia non possono fare solo da spettatrici, occorre un’assunzione di responsabilità ed un intervento per capire cosa si è fatto (e consentito di fare) dopo l’alluvione del 2002, occorrono messe in sicurezza vere, per eliminare e ridurre il rischio, non per costruire nuovamente nelle zone a rischio, come si è fatto, si continua fare e si vorrebbe continuare a fare.