La favola di Boveglio. Storie di guerra, d'integrazione, ambiente e di comunità

Home Ambiente La favola di Boveglio. Storie di guerra, d'integrazione, ambiente e di comunità
La favola di Boveglio. Storie di guerra, d'integrazione, ambiente e di comunità

La ‘nuova’ comunità di Boveglio
BOVEGLIO (Villa Basilica), 28 settembre – Ci sono poco più di cento abitanti in questa piccola frazione di Villa Basilica. Da qualche mese, però, la popolazione è cresciuta. Lì ora abitano anche otto uomini che appartengono ad altre culture, che hanno alle spalle storie complesse, che hanno sfiorato la morte per fuggire dalla guerra. E che, superata la diffidenza iniziale di chi li guardava da lontano considerandoli diversi, oggi fanno parte integrante della comunità di Boveglio.
Per raggiungere questa piccola frazione è necessario percorrere chilometri di strada. Si abbandona Lucca per raggiungere Collodi. Poco oltre la città di Pinocchio si comincia a salire. Lassù, a settecento metri sopra il livello del mare, s’incontra Boveglio. E a Boveglio c’è una chiesa, la cui canonica – per lungo tempo disabitata – è ora abitata da sette pakistani e da un indiano.
Sono fuggiti dalla Libia, cercando di scampare alla guerra. “Eravamo lì perché c’era lavoro”, dicono. C’è chi faceva l’autista, chi l’idraulico, chi il contabile. “Dalle mie mani sono passati molti soldi” ci racconta. Non è un caso, quindi, che oggi sia lui il responsabile della gestione economica della casa.
Pardon, della curia. Un’abitazione che prima d’allora era abitata solo dalla muffa. Il parroco l’ha affidata alla cooperativa Odissea nel periodo dell’emergenza profughi. E questi ragazzi sono riusciti a renderla fruibile in soli tre giorni. Sì, sono stati veloci. Ma c’era pur sempre un’emergenza cui far fronte.
Mesi dopo l’inizio di questa avventura, la scorsa estate siamo stati loro ospiti. Abbiamo potuto apprezzare l’accoglienza, i profumi della cucina, l’allevamento di pulcini e di galline, i terrazzamenti strappati all’incuria e restituiti alla cultura, il forno rimesso in funzione dopo anni di inutilizzo. E poi pakora, ruti e tutti quei piatti cucinati nel rispetto della tradizione (la loro) e serviti caldi a tavola.
Sì, questi richiedenti asilo sono sfuggiti alla Libia. Hanno da due a tre figli ciascuno, qualcuno pensa al ricongiungimento, altri vorrebbero tornare lì. “Da noi si fa la fame, in Libia abbiamo almeno un’opportunità”, dicono. Nel frattempo si dedicano alla coltivazione della terra. Camminano quasi scalzi lungo i poggi e i terrazzamenti. Attraversano i boschi in ciabatte. E con forza e determinazione hanno restituito alla vita ettari di terra abbandonati da anni.
Gli abitanti di Boveglio all’inizio li guardavano da lontano, diffidenti. Forse avevano paura. Forse avrebbero preferito fare a meno di quegli ospiti non richiesti. Ma il pregiudizio fa presto a morire. Alla fine la gente del posto ha concesso loro le terre, gli ha permesso di coltivarle ed è nata un’economia nuova. I profughi coltivano fagiolini, patate, insalata. Non solo per soddisfare il fabbisogno personale, ma anche per la piccola comunità. Che ora compra i loro prodotti.
La loro vita è scandita dai ritmi contadini. Grazie alle operatrici della cooperativa – due delle quali sono proprio di Boveglio –  stanno seguendo un corso d’italiano. E questi pakistani, che mai nella loro vita hanno avuto l’opportunità di frequentare la suola, ora leggono, scrivono, navigano su internet e comunicano con l’esterno anche grazie a skype e facebook (tant’è che hanno creato una pagina tutta per loro).
Andrea Del testa – Lo Schermo