Intervista a Lewanski: legge sulla partecipazione toscana al capolinea?

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Intervista a Lewanski: legge sulla partecipazione toscana al capolinea?

lewanskyIl prof. Rodolfo Lewanski (ARP – Autorità regionale per la promozione e la garanzia della partecipazione), di recente  intervistato da InformazioneSostenibile, così sintetizza l’importante esperienza: “la mancanza di interesse nella legge proviene anche da chi, in modo così lungimirante, l’ha approvata nel 2007”. Le riflessioni che seguono sono frutto dell’incontro.
D. Riguardo ai percorsi complessivi presentati (220) e finanziati (116), e di cui solo 25 presentati da cittadini e 11 finanziati, ci si poteva aspettare un numero maggiore di progetti provenienti dai cittadini? Le imprese hanno sottovalutato l’opportunità di chiedere un finanziamento per un percorso di partecipazione, o la loro mancanza di proposte può essere letta come disinteresse o impossibilità reale di usufruire della legge regionale?
R. Secondo l’Autorità si può parlare di un “timore” piuttosto che di aspettava, che la classe politica nutriva nei confronti di un uso della legge da parte dei Comitati, mentre invece non è stato così: sono stati soprattutto gli Enti Locali a richiedere e beneficiare di finanziamenti per percorsi partecipativi. Sicuramente vi è stata una valutazione errata da parte delle imprese che non hanno colto l’occasione offerta dalla normativa. Alla base di questo, si possono rintracciare sia un problema culturale – le imprese vanno aiutate a capire la portata innovativa di un percorso partecipativo, e devono aver voglia di “mettersi in gioco”: fare partecipazione non significa ratificare una decisione già presa a livello aziendale bensì contemplare l’opzione zero, ovvero la possibilità che l’opera non venga eseguita – sia economico, in quanto non si sono verificate occasioni, probabilmente a causa della crisi economica, per realizzare opere di una portata tale da richiedere l’organizzazione di un percorso partecipativo o lo svolgimento di un dibattito pubblico.
D. In riferimento agli oggetti dei progetti presentati e approvati si può affermare che siano stati soprattutto percorsi legati al territorio. I progetti dedicati a strumenti/regolamenti per la partecipazione sono stati solo 9 di cui 4 approvati (dati ricavati dal rapporto annuale 2011). Gli Enti Locali hanno usufruito poco della legge regionale in questo ambito, come mai?
Di fronte allo svariato numero di progetti presentati dagli enti locali, si può sostenere che la partecipazione sia sulla buona strada per diventare una consuetudine (come l’ art.1.3b auspicava)? Come si è scontrata la tempistica della legge regionale con la burocrazia amministrativa locale e come migliorarla? Dovrebbero essere proposti cambiamenti anche a livello di normative locali per farvi fronte?
R. Secondo il prof. Lewanski si poteva “sperare” in un maggiore diffusione dei regolamenti locali sulla partecipazione, o incentivati dalla legge regionale, o autonomamente gestiti.
Riguardo alla partecipazione come metodologia entrata nella prassi dell’amministrazione, l’ARP “spera” diventi una consuetudine. Una critica che può essere mossa riguardo ai criteri di finanziamento da parte dell’Autorità, è quella di aver agevolato Comuni estranei a una tradizione di percorsi di partecipazione, preferendo sostenere Enti Locali diversi e non gli stessi per anni successivi con scelta di continuità, impedendo quindi l’instaurarsi di una prassi consolidata, almeno tramite finanziamenti della legge 69. La ratio adottata dall’Autorità è stata quella di evitare la nascita di una “elite” di Comuni virtuosi con percorsi partecipativi ammessi a finanziamento di anno in anno, cercando invece di alimentare la disseminazione attraverso la contaminazione di Enti Locali vicini a quelli finanziati, nell’ottica strategica di far diventare virtuosi potenzialmente tutti.
La tempistica rappresenta un nodo importante da sciogliere, in quanto è  stato quasi sempre un fattore che ha creato ritardi e disagi nella realizzazione dei percorsi partecipativi. La rendicontazione finale, necessaria alla liquidazione della terza tranche, ha spesso dilatato molto i tempi. L’importanza della rendicontazione finale è dovuta non solo alla trasparenza dei progetti, ma anche al discorso della valutazione e controllo dello svolgimento dei percorsi di partecipazione: non essendoci uno staff che potesse seguire da vicino la realizzazione dei vari percorsi dislocati sul territorio toscano, l’ARP ha dovuto basarsi molto sulle relazioni – intermedia e finale – e sulla rendicontazione. La lentezza e gli ostacoli della burocrazia sono una diretta conseguenza anche della novità rappresentata dai processi finanziati dalla legge regionale.  Spesso non erano noti in precedenza e non venivano “capiti” dal personale amministrativo, il quale li avvertiva più come minaccia – nel senso di una ennesima pratica di cui farsi carico – che non come possibilità di rapportarsi direttamente e innovativamente con la comunità. Ben vengano, quindi, i progetti partecipativi che prevedano al loro interno una parte dedicata alla formazione del personale amministrativo, per migliorare sia la comunicazione interna che per permettere una prassi di realizzazione alternativa alla lentezza burocratica. Infine, più che nuove norme sulla partecipazione, basterebbe una “prassi” diversa, affinché la tempistica dei sei mesi per la realizzazione del percorso partecipativo venga rispettata.
D. In riferimento alla maggior efficacia delle politiche (così come definisce l’art. 1.3.c), i temi trattati hanno reso le politiche più efficaci? Come potrebbe essere migliorata la legge regionale in riferimento al monitoraggio ex post e alla misurazione dei ritorni? E come si è inserita la legge toscana 35/2011 sulle opere strategiche nella cornice legislativa definita anche dalla legge sulla partecipazione?
In alcuni casi in cui il percorso partecipativo si rivela un “successo” (es. Cisternino) ma si scontra con la mancata realizzazione delle decisioni prese dai cittadini durante lo svolgimento del percorso (vuoi per mancanza di fondi o per mancanza di volere politico…): si può sostenere la validità di un percorso partecipativo a prescindere da quanto andranno ad incidere le decisioni prese dai cittadini?
R. La tematica della misurazione degli effetti e dei ritorni si inserisce all’interno di una vasta discussione teorica (NdR. per averne un assaggio è possibile consultare la relazione presentata dal prof. Lewanski durante il workshop tenuto l’11 giugno, descritto successivamente). La certezza è che una volta concluso il percorso partecipativo, non vi sono dati empirici tali da permettere una comprensione dei ritorni effettivi. La “pretesa” teorica e pratica è che le scelte prese congiuntamente dai cittadini durante il processo di partecipazione, siano intrinsecamente migliori di quelle che l’Ente Pubblico avrebbe preso da solo.
Per quanto concerne la legge 35 sulle opere strategiche basta pensare al percorso realizzato dal Comune di Castelfranco di Sotto – con la collaborazione della società proponente l’impianto – dal nome: “Insieme per capire insieme per decidere: analizziamo insieme la proposta del pirogassificatore per rifiuti industriali, il suo impatto su ambiente e salute e le possibili alternative”. Il percorso ha espresso parere negativo alla costruzione dell’impianto, ma è stato vanificato dall’entrata in vigore della legge sulle opere strategiche, applicata dalla Giunta Regionale in modo retroattivo ancora prima che ci fosse un regolamento di attuazione.
Secondo l’ARP “non si può sostenere che sia meglio fare un percorso partecipativo a prescindere da quanto andranno ad incidere le decisioni prese dai cittadini, in quando è meglio non fare partecipazione se il cittadino non può realmente incidere, altrimenti invece che creare capitale sociale, questo viene disattivato”, alimentando la sfiducia da parte della cittadinanza nei meccanismi decisionali.
D. Riguardo all’Autorità Regionale per la Partecipazione ARP è verosimile una fusione con il Garante della comunicazione? Che ricadute potrebbe avere? Rumors ventilano un cambiamento da un organismo indipendente monocratico a un team, è corretto?
R. L’ARP è indipendente, mentre il Garante della Comunicazione è l’espressione della maggioranza politica: i ruoli sarebbero quindi da tenere ben distinti a partire proprio dalla diversità del metodo di nomina. Inoltre si ventila l’ipotesi di una Commissione formata da tre persone. L’ARP confida le sue perplessità sia su come possa essere economicamente sostenibile tale Commissione, sia sulla tempistica della nomina; presumibilmente vi sarà un vuoto legislativo fino a maggio, e da lì saranno necessari alcuni mesi per la/le nomina/e della/e Autorità (NdR. ricordiamo che il prof. Lewanski è stato nominato nel settembre del 2008). Sulle modalità della scelta resta aperto il criterio: indipendenti, a seguito di una “spartizione politica”.
D. Riguardo al grande “dibattito” sul débat public, tacciato di costituire l’occasione non sfruttata messa a disposizione dalla legge regionale, quali possono essere le cause della mancata richiesta di questo strumento nei primi cinque anni di sperimentazione? Vi è una percentuale di colpevolezza da parte della mancanza di informazione, oppure è mancata la possibilità di accedere al finanziamento non essendosi effettivamente verificate le condizioni che richiedono la sua messa in pratica?
R. Secondo l’ARP il problema della mancata richiesta di questo strumento è collegato con quello visto in precedenza, della sottovalutazione da parte delle imprese. L’opinione del prof. Lewanski sul dibattito pubblico è controcorrente rispetto alle opinioni espresse durante il workshop: i processi locali, tranne i casi in cui i progetti prevedano grandi porzioni del territorio coinvolgendo decine di Comuni (avendo per oggetto grandi opere fisiche) sono più significati che i dibattiti pubblici, in quanto più coinvolgenti e partecipativi, prevedono l’opzione zero, aumentano maggiormente l’empowerment dei cittadini e sono più dialogici e partecipativi. Sempre in accordo con quanto ci ha riferito l’Autorità, si discute così tanto riguardo al dibattito pubblico poiché questo rappresenta l’illusorio palliativo dei contrasti da parte «dei politici con paura dei conflitti, che non riescono a vedere come i conflitti stessi possano costituire soluzioni migliori sia socialmente che tecnicamente». Inoltre la mancanza di richiesta di dibattiti pubblici è stata quasi un sollievo per l’APR in quanto non avrebbe avuto “risorse umane e organizzative in grado di fronteggiare un simile impegno”.
Infine, un rapido bilancio dell’esperienza compiuta da settembre 2008.
Secondo il prof. Lewanski, l’esperienza che ha compiuto è stata “straordinaria e rara” in quanto gli ha permesso di mettere in pratica la teoria: “da politologo ho imparato la pratica politica”. Amaramente però si dichiara “incredulo per il disinteresse della classe politica verso la propria legge”; una classe politica, quella toscana, che ha capito in anticipo rispetto a quella italiana i problemi in cui versava e versa tuttora la democrazia rappresentativa, che è riuscita a trovare una risposta innovativa a livello mondiale, ma che poi irrazionalmente si è disinteressata del suo andamento e dei risultati ottenuti dalla legge 69, continuando a “ragionare lungo vecchi repertori esauriti”. L’Autorità ricorda quindi la bontà e la correttezza della visione e quanto la soluzione legislativa sia stata ottima poiché non simbolica ma concreta (attraverso un finanziamento annuale), ma si dichiara perplesso sul seguito della legge e sull’indifferenza politica in cui è caduta, oltre che sull’isolamento (facendo salve alcune eccezioni individuali) in cui la stessa ARP è stata lasciata.
Riguardo ai progetti per il futuro, il prof. Lewanski, oltre all’insegnamento universitario, sarà impegnato nelprogetto AIP2 (Associazione italiana per la  Partecipazione Pubblica), che si interessa da un anno della crescita della cultura intorno alla partecipazione, uno dei presupposti, anche se non l’unico, per rispondere alla crisi politica odierna.
InformazioneSostenibile