Il biologico come modello economico e ambientale virtuoso

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Il biologico come modello economico e ambientale virtuoso

Convegno Aiab. Milano è stata per una settimana capitale del biologico. Dal 30 novembre al 4 dicembre,  ricercatori, politici, economisti e agricoltori di tutta Italia, ma anche esperti internazionali, si sono radunati nel capoluogo lombardo per il Congresso Federale dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (Aiab). Un evento che ha coinvolto l’intera cittadinanza grazie all’iniziativa ‘Milano MangiaBio’, che ha visto diversi ristoranti e bar offrire menu e happy hour rigorosamente biologici.
Le crisi alimentari e le speculazioni sulle commodities hanno riportato in primo piano, nell’agenda politica nazionale e internazionale, la questione del cibo. A fronte del degrado e della scarsità delle terre (lo ha denunciato la Fao nel suo ultimo rapporto sull’agricoltura), contadini, agricoltori e produttori di cibo di tutto il mondo stanno tentando di mostrare come è possibile nutrire il mondo e traghettare il settore primario verso un modello produttivo a basso tenore di carbonio, purché si sviluppi una riflessione a tutto campo sull’agricoltura biologica e su come essa debba mutare per rispondere meglio alle sfide del futuro.
“Per fronteggiare le attuali crisi, alimentare e climatica – ha commentato Andrea Ferrante, presidente nazionale Aiab – sia in Italia che in Europa è arrivato il momento di fare scelte di politica agricola importanti e lungimiranti, che siano in grado di promuovere modelli di produzione del cibo sostenibili, proprio come il biologico. Il bio è un modello di sviluppo alternativo all’agricoltura industriale capace di produrre cibo di qualità nel rispetto dell’ambiente, dei cicli naturali e del benessere umano e animale, nonché di indirizzare in senso ecologico i comportamenti degli operatori e dei cittadini, rimettendo al centro il ruolo insostituibile degli agricoltori”. Detto in altre parole: il modello biologico è basato su un concetto alternativo di economia, fondato sulle relazioni tra persone, comunità e ambiente. “Se l’Italia e l’Europa dovessero rinunciare a scelte di politica agricola capaci di promuovere e sostenere gli agricoltori, e in particolare chi pratica il biologico – ha aggiunto Ferrante – l’agricoltura rischierebbe di scomparire, nonostante il cibo sia centrale e imprescindibile per la vita di tutti”.
Ad oggi, infatti, il bio italiano vive il paradosso di essere l’unico settore dell’agroalimentare che continua a far registrare una crescita positiva nei consumi nonostante la crisi ma, anche e contemporaneamente, un decremento in termini di operatori e superfici coinvolte: al 2001, gli operatori del settore erano 60.509 e gli ettari convertiti (o in via di conversione) al bio erano 1.237.640; dopo dieci anni, gli operatori sono diventati 47.663 e gli ettari interessati 1.113.742.
La Lombardia, in particolare, “è la prima regione per produzione agricola a livello nazionale, ma anche l’unica che vede le aziende agricole biologiche come operatori di settore minoritari, a tutto vantaggio di trasformatori, grossisti, esportatori e distributori”. Lo ha rimarcato Stefano Frisoli, presidente Aiab Lombardia, che ha accusato: “È inaccettabile che la prima regione agricola d’Italia abbia una forza di produzione biologica così irrisoria”. A rincarare la dose Luca Agnelli, assessore all’Agricoltura della Provincia Milano: “Nel futuro, per l’agricoltura si annunciano tempi peggiori. Per me, ad esempio, le nuove misure contenute nella riforma della Pac sono soltanto un modo spiccio per far pagare il conto all’anello più debole della filiera”.
Eppure, come hanno dimostrato le ultime alluvioni, l’agricoltura è centrale, anche come fattore di salvaguardia del territorio e del paesaggio. “Agricoltura e ambiente sono sempre più uniti da un legame di forte reciprocità”, ha dichiarato Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia. “Si tratta di presidiare il territorio, impedendo che il paesaggio rurale venga perso a favore di speculazioni edilizie. Ma anche di farsi carico della qualità di quel suolo che vogliamo difendere dal cemento: il territorio agricolo è in grado di offrire una quantità impressionante di servizi ambientali”.
Torna ad imporsi, quindi, la questione delle scelte politiche ma anche quella della ricerca scientifica. Se ne è discusso, nel contesto del congresso, venerdì, durante la sezione scientifica realizzata in collaborazione con la Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab), che ha visto insieme scienziati e agricoltori sperimentatori discutere sulle nuove frontiere della ricerca per la sostenibilità in agricoltura biologica: ovvero, produzione senza petrolio, biodiversità e corretta gestione delle acque. Dopo la giornata sui modelli distributivi articolati su base territoriale (che mettono in campo, tra le altre cose, anche un contenimento delle emissioni legate ai trasporti delle derrate), la riflessione si è dunque estesa alla questione delle emissioni climalteranti dell’intero sistema agroalimentare, dalla produzione al consumo. Un tema caldo, reso ancor più vivo da un serrato confronto a distanza che ha visto protagonisti Hans Herren del Millenium Institute, Maryam Rahmanian del Committee on World Food Security, e Urs Niggli della Fibl, Istituto di ricerca dell’agricoltura biologica.
La riflessione sulla sobrietà energetica del biologico, in essere o da perseguire, è stata incardinata nel quadro della ricomposizione dei sistemi agro-zootecnici su scala aziendale o consortile, rimettendo in campo una visione integrata del sistema produttivo, dove i cicli di massa ed energia si chiudano con un bilancio positivo e con un contributo alla mitigazione climatica. Il convegno ha ragionato intorno a un’equazione: BIO=mc2, ossia qualificare il ruolo del biologico nel razionalizzare usi e flussi di biomasse e combustibili. “La riconnessione di un tessuto agro-zootecnico che ricomponga usi sostenibili di foraggi e mangimi e riciclo delle biomasse, si iscrive di diritto in questo scenario di ricostruzione di senso produttivo e ambientale”, ha evidenziato Luca Colombo, coordinatore scientifico Firab. Il biologico deve dunque intervenire nel ripristino di equilibri ambientali e climatici. Del resto è solo il biologico che può ridurre in modo significativo le emissioni serra dell’agricoltura: secondo studi recenti, lo stock di carbonio organico nel suolo dei terreni gestiti in maniera biologica è in media di 37.4 tonnellate di carbonio per ettaro, contro i 26.7 dei terreni di aziende convenzionali.
“È indiscutibile – ha concluso Vincenzo Vizioli, presidente Firab – che il sequestro di carbonio nel suolo, le ridotte emissioni di gas a effetto serra e l’uso sostenibile delle risorse naturali, qualifichino il biologico come un modello virtuoso, ma la ricerca è ancora carente e va largamente incentivata e finanziata per determinare pratiche, tecnologie, qualità degli input, che migliorino e potenzino la sua performance nei diversi contesti colturali e produttivi, non limitandosi tra l’altro a prendere in considerazione la sola produzione primaria, ma anche i processi di filiera e commerciali che interessano le derrate biologiche”.
Agnese Pellegrini Greenews