Semi, zappa e grembiulino a scuola a "lezione" di orto

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Semi, zappa e grembiulino a scuola a "lezione" di orto

Si moltiplicano gli istituti che decidono di inserire ortaggi e piante nelle proprie esperienze didattiche. Un modo per trasformare la scuola in qualcosa di vivo, di cui prendersi cura. E i baby ortolani mettono a frutto abilità manuali, conoscenze scientifiche, sviluppo del pensiero logico. Divertendosi e sporcandosi le mani
Patate, carote e pomodori al posto di banchi, sedie e lavagna. Via gli zaini e tutti fuori a seminare, zappare, innaffiare: l’orto arriva a scuola, per trasformarla in qualcosa di vivo, di cui prendersi cura. Da Torino a Genova, dalle Marche alla Sicilia sono moltissimi gli istituti scolastici – materne incluse – che hanno deciso di provare a inserire un orto nelle proprie esperienze didattiche, trasformando un piccolo scampolo di terra in un’aula a cielo aperto, dove i bambini mettono le mani, vedono i semi trasformarsi in frutta e ortaggi veri, usano attrezzi, osservano i ritmi della natura, imparano ad aspettare, ad osservare. E a raccogliere.
Sembra un gioco, ma non lo è. C’è la magia della nascita, la responsabilità di accudire le piante, la sorpresa di vedere qualcosa che sboccia e cresce. Si imparano regole, ciclicità, rispetto ed equilibrio. Per la scuola è un salto di qualità, “perché l’orto non è una simulazione di realtà, ma la realtà vera e propria”: ne è convinto Gianfranco Zavalloni, dirigente scolastico e punto di riferimento per chi segue il progetto degli orti didattici. Agli “orti di pace” Zavalloni ha dedicato un libro. C’è un sito omonimo 2, dove chi è interessato può tenersi in contatto con altri che seguono esperienze simili e dove c’è una rete degli istituti scolastici che vogliono partecipare, dando vita a una comunità.
Dal punto di vista didattico i pro sono diversi. I baby ortolani mettono a frutto abilità manuali, conoscenze scientifiche, sviluppo del pensiero logico interdipendente. Si sorprendono, scoprono cose per molti di loro nuove – da come nasce una patata ai profumi delle piante aromatiche – si divertono, diventano più curiosi. Di storie e di sapori.
E le soddisfazioni, per chi decide di imbarcarsi nell’impresa, che, va detto, necessita di impegno e continuità, non mancano. Riuscire a trasformare la scuola in qualcosa di vivo “è un’esperienza affettiva cui i bambini si legano”, racconta Nadia Nicoletti, maestra dal 1975 e una delle pioniere degli orti a scuola. Il suo istituto a Villazzano, in Trentino, ha un bellissimo orto-giardino, che negli anni è cresciuto grazie all’aiuto del comune di Trento, all’amore e alla fatica di insegnanti e bambini. Per due ore alla settimana i suoi alunni “fanno” l’orto all’aperto. E d’inverno, quando fa troppo freddo, l’attività si sposta all’interno della scuola.
“All’inizio gli insegnanti sono molto spaventati” ammette la maestra, dalla cui esperienza sono nati due libri, L’insalata era nell’orto e Lo sai che i papaveri, in cui prende per mano i più piccoli, spiegando a loro, a insegnanti e genitori il piacere che dà coltivare la terra. Nicoletti ha portato ortaggi e piante in altri istituti, tiene laboratori, diffonde la sua passione, oltre a coltivarne una sua, speciale, per le rose. E sul sito di Orti di pace cura una rubrica 3 in cui racconta le avventure dei bambini, tra cavoli e zucchine.
L’orto è trasversale, permette di fare scienze, botanica, storia, ma anche geografia, matematica, poesia, arte. “E’ un modo di fare scuola che negli anni si è perso, quel ‘saper fare’ che invece per i bambini è così importante”, spiega la maestra. Senza contare che l’esperienza di coltivare rilassa ed è liberatoria anche per i più piccoli, come lo è per gli adulti. E che è splendidamente egualitaria: “Qui anche i bambini più svantaggiati sono alla pari degli altri”.
Il problema è la tenuta. Spesso si iniziano progetti, poi gli insegnanti che vi si sono dedicati sono trasferiti o vanno in pensione e l’esperienza muore lì. E’ per questo che Orto in condotta 4, il progetto di orto didattico dello Slow Food, chiede agli istituti che vogliono partecipare un impegno minimo di tre anni. Si fanno dei protocolli di intesa con le scuole, si cerca un accordo con il comune e si avvia la formazione per gli insegnanti. “Le prime realtà sono nate nel 2004 in casa, a Bra e Ivrea”, racconta Davide Ghirardi, responsabile dei progetti educativi di Slow Food. Da allora si sono diffuse in quasi tutte le regioni e oggi le scuole che aderiscono al protocollo sono circa 430 in tutta Italia, per la maggior parte in istituti primari.
“Facciamo delle verifiche e al termine del progetto abbiamo visto che i bambini hanno più interesse a sperimentare gusti diversi, si avvicinano ai sapori in modo diverso. Scoprire da dove viene il cibo, la terra, il primo anello della catena alimentare li rende più consapevoli, allarga i loro interessi”, dice Ghirardi.
Da quando Michelle Obama ha voluto l’orto alla Casa Bianca 5 c’è stato un boom di richieste. L’orto ha iniziato ad avere successo in generale e non solo nelle scuole. Si è parlato molto degli orti condivisi, di quartiere, perfino sui tetti. E ci sono quelli terapeutici, carcerari, sociali: luoghi di crescita, recita il manifesto del movimento Orti di pace, “per imparare di nuovo l’abbicì del rapporto con la natura”. “Più che di moda, parlerei di riscoperta. E’ un movimento spontaneo cui stiamo dando voce”, sottolinea ancora Zavalloni. “C’è anche l’aspetto della crisi economica, ma è predominante l’interesse di riavvicinarsi alla terra”.
L’idea non è nuova: “Gli orti didattici esistevano fin dall’800, ne abbiamo trovato traccia sui libri”, continua il dirigente scolastico. “Maria Montessori li usa nelle sue case dei bambini. Sotto il fascismo li chiamavano orti di guerra, per questo noi dal 2003 li abbiamo battezzati ‘orti di pace’. Oggi sono sostenuti anche da diverse amministrazioni comunali, da associazioni di agricoltori, da movimenti come Slow Food”.
Proprio in questi giorni nel Lazio stanno partendo due nuove iniziative, racconta Ines Innocentini, referente per la regione di ‘Orti in condotta’. A Roma 6, in collaborazione con l’ente Eur Spa e alcuni istituti scolastici, sta nascendo un grande orto con alberi antichi e 300 piante aromatiche all’ombra del “fungo” dell’Eur. L’altra partirà a giorni a Fiano Romano, con la collaborazione del comune, delle scuole del centro diurno che si occupa di disabilità.
Ma l’onda è lunga e arriva un po’ ovunque, con qualche regione più virtuosa di altre. “Come le Marche che hanno lanciato nel 2000 la proposta ‘un orto botanico a scuola’, facendo partire quasi subito un centinaio di istituti”, ricorda Zavalloni. E i buoni esempi si moltiplicano, conclude il dirigente: “Ultimamente è iniziato un buon lavoro in Sicilia, grazie anche al sostegno dell’università di Catania”.
di ALESSIA MANFREDI Repubblica